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Leopolda: un popolo che si riconosce

Marco Campione sabato 20 Ottobre 2018
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di Marco Campione

 

Me lo ricordo bene perché mi colpì. In una delle prime edizioni della Leopolda, Renzi disse che non condivideva la metafora di una comunità che ogni anno “ritorna a casa” e si ritrova.

Eppure c’è una frase che più si sente tra chi affolla quella vecchia stazione quando fa la fila per il caffè o per mangiare un boccone; quando lascia i figli allo spazio bimbi per ritagliarsi qualche ora di lavoro ai tavoli e per seguire gli interventi, o quando si fa largo tra la folla per conquistarsi un posto in piedi, ma almeno appoggiato al muretto della sala stampa. Eppure -dicevo- una frase ricorrente c’è ed è “che bello rivederti!”.

Ecco, l’immagine del ritrovarsi può non piacere (a me in realtà piace) perché qualcuno potrebbe interpretarlo come reducismo. Ed effettivamente non lo è. Ma è evidente che quella che si ritrova ogni anno a Stazione Leopolda è una comunità che si riconosce, anche senza conoscersi.

Si riconosce proprio come comunità, innanzitutto. A prescindere dalle appartenenze partitiche. Abbiamo tutti votato Pd nel 2014, abbiamo tutti votato sì al referendum del 2016, ma non siamo tutti del Pd. Si riconosce come gruppo che può litigare ma ha un obiettivo comune: modernizzare il paese, scommettere sulla crescita, non rassegnarsi a condannare gli italiani ad un destino da sussidiati.

Si riconosce ed è vicendevolmente riconoscente. Siamo tutti accomunati da un mutuo sentimento di solidarietà e riconoscenza. Come spiegarlo altrimenti il tripudio di venerdì sera per Padoan? Padoan, probabilmente tra i ministri della scorsa legislatura la persona più distante dagli stereotipi sul “renzismo”. Ieri Renzi ha detto che “chi ha avuto tutto è stato tra i primi ad andarsene e chi ha avuto poco o niente invece è ancora qui”. Parole tristi, ma vere. Perché accade questo? Accade proprio perché non è così vero che abbiamo avuto poco o nulla. Io ad esempio (che per il senso comune sono tra quanti hanno avuto meno), in realtà a quel gruppo di persone che ho riconosciuto una ad una ieri sera (e le ho riconosciute tutte, anche quelle che non conosco né mai conoscerò) devo il privilegio di aver servito per quasi quattro anni il mio paese. Ho avuto questo privilegio per le mie competenze, ma senza le persone che da otto anni affollano la Leopolda non sarei andato da nessuna parte. E anche questa consapevolezza delle proprie potenzialità accompagnata da un non comune senso dei propri limiti e del proprio debito di riconoscenza è qualcosa che ci accomuna e ci consente di riconoscerci. E se chiedete a ciascuno di loro, ciascuno di loro vi racconterà che ha avuto qualcosa. Fosse “solo” la possibilità di sentirsi parte di un momento epocale.

Si riconosce come parte, senza essere partito; si riconosce in definitiva come popolo, il popolo della Leopolda. Ecco perché a me piace la metafora del ritorno a casa. Perché non siamo reduci, ma siamo popolo. E ogni popolo ha un luogo del cuore, un simbolo, una patria. La nostra patria è una vecchia stazione di Firenze. Siamo gente bizzarra, può capitare.

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