LibertàEguale

Digita parola chiave

L’invasione russa non potrà fermare il processo di democratizzazione dell’Ucraina

Eugenio Somaini mercoledì 11 Gennaio 2023
Condividi

di Eugenio Somaini

 

Premessa

Una prima stesura del pezzo che segue risale al settembre del 2022 e rappresentava la premessa all’articolo che ho pubblicato sul numero di ottobre di Mondoperaio, per ragioni di spazio avevo deciso di stralciarlo, ma mi sembra opportuno richiamarlo alla memoria in questo momento, anche come introduzione ad un altro mio articolo che uscirà sulla stessa rivista nel prossimo mese.

Lo svolgimento successivo del conflitto ha reso di grande attualità il problema della pace, l’esame delle condizioni che essa dovrà soddisfare e la gamma delle possibilità che si prospettano per una Ucraina che con tutta probabilità (malgrado i torti e le violenze che ha subito) uscirà dal conflitto a testa alta e con un’autorevolezza politica e morale decisamente superiore a quella della Russia.  Essa potrà contare sul fatto che non siederà sola al tavolo delle trattative, ma come facente ormai idealmente parte della Nato, un’alleanza che, come si sostiene nel pezzo che sarà pubblicato su Mondoperaio, ha scelto di applicare, più rigorosamente di quanto non abbia fatto in passato, il criterio di rispondere militarmente a guerre di brutale e ingiustificata aggressione.

Le elezioni ucraine del 2019 e la guerra scatenata dalla Russia nel 2022 come reazione russa al processo di democratizzazione dell’Ucraina

Il conflitto attualmente in corso tra Russia e Ucraina rappresenta la fase conclusiva, e comunque una svolta decisiva, di un processo che ha avuto inizio nel gennaio 1990 con lo scioglimento dell’Unione Sovietica da parte di Yeltsin (Yeltsin era presidente della Repubblica Russa, semplicemente una di quelle che formavano l’Urss e ne rappresentava l’elemento decisivo e dominante, circostanza che consente di definire l’Urss come una formazione imperiale a dominazione russa), cui nel luglio dello stesso anno fece seguito la dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina.

Il decennio successivo a tale dichiarazione è stato caratterizzato in Ucraina da una situazione di quasi guerra civile, che ha visto il disordinato succedersi e il ricorrente alternarsi al governo di  personaggi spesso discutibili e di raggruppamenti politici improvvisati privi di un concreto e credibile progetto politico. Una fase di tendenziale stabilizzazione si era aperta nel 2014 con l’elezione alla presidenza di P.O. Porošenko che perseguiva un programma riformista centrato sull’indipendenza dell’Ucraina e sulla sua adesione all’UE. La reazione della Russia allo sviluppo di questo processo di democratizzazione non si è fatta attendere ed ha assunto la forma di un’invasione dell’Ucraina, conclusasi nel febbraio del 2015 con un cessate il fuoco che ha visto il temporaneo distacco dall’Ucraina della Crimea e di parte dei distretti del Donetsk e del Luhansk. Queste condizioni non sono mai state sanzionate dal consenso delle parti coinvolte (in particolare da quello del governo ucraino), ma hanno consentito lo stabilirsi di una tregua che, seppure con qualche intermittenza e con ricorrenti scontri, è durata fino all’aggressione russa del febbraio del 2022.

Negli anni successivi a quel cessate il fuoco la carica di presidente è stata ricoperta prima da Porošenko (2014-2019) e in seguito da Zelenskyi (dal marzo 2019 ad oggi), entrambi ucraini e fautori dell’indipendenza dell’Ucraina, che non avevano mai accettato la separazione dalla stessa della Crimea, del Donetsk e del Luhansk e la loro sostanziale annessione da parte della Russia.

Le elezioni del 2019 sono state dichiarate regolari e legittime dalla Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE): il loro risultato ha visto al primo turno il piazzamento ai primi tre posti di candidati che sostenevano l’indipendenza dell’Ucraina, con un voto complessivo superiore al 60% (e in testa Zelenskyi con più del 30%) e in quarta posizione il candidato filo-russo che si è fermato sotto il 12%; al ballottaggio Zelenskyi ha ottenuto la vittoria con il 75% dei voti, battendo Porošenko rimasto al 25%. A tali elezioni gli abitanti delle regioni controllate dagli elementi filorussi non hanno partecipato perché impediti a farlo dagli occupanti stessi.

Nel complesso ci sembra di potere dire: i) che tra le entità politiche che sono emerse dal conflitto del 2014-15 la sola cui possa essere attribuita una legittima sovranità sia stata l’Ucraina; ii) che la nuova aggressione russa del febbraio 2022, lungi dal consolidare la legittimità delle entità che la Russia si era annesse, l’ha ulteriormente messa in discussione, e che pertanto la Russia non può vantare nessun titolo valido su territori che facevano parte dell’Ucraina prima del 2014; iii) che la Russia non si limiterà ad uscire a mani vuote dal conflitto che ha scatenato (condizione che si addice perfettamente ad un aggressore sconfitto), ma si troverà gravata anche da una serie di obblighi riparatori dei danni cha ha arrecato e dei crimini che ha commesso.

La nuova (e aggravata) aggressione russa del febbraio 2022, lungi dal confermare e rafforzare i diritti che la Russia pretendeva di vantare nei confronti dell’Ucraina nel 2015, conferma e rafforza il diritto di quest’ultima non solo alla restituzione di quanto in quella data le era stato sottratto, ma anche di quanto le è stato sottratto nell’anno appena trascorso e degli oneri legati ai danni ed ai crimini che essa ha commesso nel corso della guerra attualmente in corso ai quali si devono aggiungere gli obblighi riparatori di cui si è detto sopra.

La logica perversa che ispira le azioni e le pretese russe trova espressione nella pretesa che l’Ucraina indennizzi la Russia degli oneri che ha sostenuto nelle sue fallimentari azioni aggressive: in sostanza un processo nel corso del quale l’Ucraina dovrebbe risarcire la Russia per le sconfitte e le umiliazioni che ha subito.

Tags:

Lascia un commento

L'indirizzo mail non verrà reso pubblico. I campi richiesti sono segnati con *