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Lo Stato nell’economia? Non è un buon affare

Luigi Marattin giovedì 23 Agosto 2018
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di Luigi Marattin

 

Fino agli Anni Novanta, il potere pubblico gestiva le principali banche commerciali. Poi avrebbe dovuto ritirarsi e garantire un’efficace vigilanza (tramite la banca centrale nazionale). Entrambe le sfide sono fallite: la prima tramite l’inefficiente governance delle fondazioni (anche pubbliche, sebbene non sempre); la seconda con le note vicende, recenti e non.

Fino agli Anni Novanta, il potere pubblico gestiva tutte le aziende di servizi pubblici, locali e non (gas, elettricità, acqua, rifiuti, trasporti). Poi avrebbe dovuto ritirarsi, e divenire efficace soggetto regolatore: seleziona l’operatore più efficiente (pubblico o privato che sia!) tramite gara competitiva, fissa il livello degli investimenti sulla rete e delle tariffe, controlla la gestione. Anche queste sfide sono quasi sempre fallite: nella maggioranza dei casi le aziende che gestiscono i servizi sono rimaste pubbliche (creando così uno spaventoso conflitto di interessi tra regolatore e regolato), e laddove il gestore è privato l’attività di regolamentazione non è efficiente (spesso l’Autorita’ o non è costituita o è chiaramente troppo debole).

In questi 25 anni non abbiamo mai culturalmente elaborato il passaggio da Stato-gestore a Stato-regolatore: un po’ per stupidità ideologica (si crede, erroneamente, che l’attività di regolamentazione sia meno importante di quella di gestione), un po’ per nostalgia dei bei tempi andati in cui tramite le aziende pubbliche si perseguiva lo scopo di acquisto e remunerazione del consenso politico. E a interpretare queste posizioni è stata, aldilà delle dichiarazioni di intenti, l’intera classe dirigente della cosiddetta Seconda Repubblica: sia di centrodestra che di centrosinistra.

Se e mai una nuova offerta politica raccoglierà la sfida del cialtronismo e del populismo (così stupendamente incarnati da M5S e Lega) dovrà cominciare a porsi con chiarezza – e senza sconti – domande del genere.

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