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M5S: il lato oscuro della forza

Raffaella Rojatti sabato 21 Luglio 2018
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di Raffaella Rojatti

 

Gran parte del dibattito nel PD sul rapporto da tenere con i 5 stelle non tiene conto, mi sembra, di un elemento fondamentale: a dispetto di tanta trasparenza più proclamata che reale, noi non sappiamo praticamente nulla del Movimento.

 

Chi conosce davvero il Movimento?

Non sappiamo ciò che accade al loro interno, né ci è dato di assistere a dibattiti e confronti interni, o alla competizione fra leader, come invece avviene nei congressi, nelle primarie e nelle assemblee o direzioni del PD. Non abbiamo, infine, notizie o elementi per giudicare l’esperienza e le capacità individuali dei loro esponenti che, per definizione, sono cittadini emersi dal nulla, “incontaminati” (sic) da qualsiasi esperienza politica precedente.

I 5 stelle, in buona sostanza, non sono una struttura trasparente, aperta e controllabile da osservatori esterni, né lo sono mai stati. Sono una struttura chiusa, e per capire le strutture chiuse, o segrete, la via è obbligata: oltre a osservare e analizzare le manifestazioni “a valle” dei processi decisionali, l’unica strada è di ascoltare le testimonianze di chi quella struttura l’ha vissuta dall’interno e, per qualche motivo, ne è uscito.

Il primo Vaffaday risale già al 2007, e le testimonianze dei fuoriusciti cominciano ad essere numerose, e non possono più essere ignorate. Nella mia breve analisi mi riferisco in particolare ai contenuti di due libri, pubblicati nel 2018. L’esperimento, un’indagine giornalistica di Jacopo Iacoboni de La Stampa, e Supernova, un resoconto scritto da Marco Canestrari, informatico dipendente della Casaleggio dal 2007 al 2010, e Nicola Biondo, capo dell’ufficio comunicazione del gruppo 5 stelle alla Camera dal 2013 al 2014.

Il quadro che esce da questi resoconti è chiaro.

La prima cosa che salta agli occhi è che il Movimento 5 stelle è composto attualmente da almeno tre fenomeni distinti e forse in contrasto dinamico fra loro.

  • Una cosa sono i militanti e i meet up (che al momento non contano più nulla, non si candidano neanche a livello locale senza il permesso da Roma o Milano, e fungono da potenziali potentati di questo o quel parlamentare).
  • Una cosa sono i parlamentari, che dal 2013 si sono strutturati come un partito a sé stante, composto da persone che, proprio per le modalità con cui sono state selezionate, non hanno alcuna cultura politica di base e si ritrovano quindi infiltrate da tutta una serie di affaristi, tecnici o vecchio ceto politico di ogni sponda e provenienza.
  • Una terza cosa è la Casaleggio Associati che seleziona, controlla giuridicamente e supporta gli eletti, con obiettivi economici propri che probabilmente esulano dal potere politico in senso stretto.

 

E Grillo?

Contrariamente alla vulgata, il ruolo di Grillo appare del tutto secondario se non quasi inesistente: Iacoboni definisce Beppe Grillo il “paziente zero” dell’operazione messa in atto da Gianroberto Casaleggio, mentre Canestrari, a proposito dei famosi post pubblicati sul blog Beppegrillo.it, afferma “Nella mia ingenuità, ero convinto che fosse Beppe a scrivere di suo pugno i post e che in azienda ci si occupasse solo della parte tecnico-organizzativa”.

Non era così, dato che i post erano scritto da dipendenti della Casaleggio, sotto la diretta supervisione, tanto per i contenuti che per la tempistica, di Gianroberto.

 

Uno scheletro privo di carne

Destra o sinistra? La tesi di base che emerge leggendo L’esperimento di Iacoboni (confermata da diversi collaboratori di Casaleggio) è che il Movimento 5 stelle nasca come un “tool”, uno strumento per raggiungere il potere e poi gestirlo, senza veri contenuti e obiettivi ideali. Anche in Supernova, Biondo e Canestrari definiscono Il Movimento come “uno strumento, uno scheletro privo di carne – ossia di classe dirigente e programmi concreti, reali – un’operazione di marketing neutra, che può servire diversi padroni.”

Come non pensare, leggendo questa affermazione, alla strana parabola della Link University di Vincenzo Scotti, passata da oggetto di una aggressiva interrogazione parlamentare della deputata M5S Claudia Mannino del luglio 2013 (condita da accuse di “conflitto di interessi, abuso nella gestione di contributi pubblici, scarsa trasparenza e didattica mediocre”) a fornitrice di diversi candidati di punta del governo legastellato (e di un ministro della Difesa)?

 

La sfida della digitalizzazione, nel contesto internazionale

Citando Régis Debray, Iacoboni scrive “dietro la democrazia c’è la nascita della scrittura, dietro la democrazia partecipata ci sono degli algoritmi”. È indubbio che Casaleggio abbia per primo capito il potenziale dell’utilizzo dei dati di militanti ed elettori, e si sia attrezzato per sfruttarli a proprio fine.

“I dati sono oro nero – scrive Iacoboni – anzi valgono più del petrolio. Dai dati di una comunità posso sapere chi è parte organica di quella comunità, chi vi gravita intorno, magari ancora indeciso… Come la pensa X su un argomento – immigrazione, euro, Europa – e come la pensa Y. Chi devo andare a convincere e chi è già convinto.”

E in verità, il problema non riguarda solo i 5 stelle. Con l’affermarsi delle piattaforme digitali, le democrazie moderne scontano sempre più una grave asimmetria informativa che contrappone i singoli cittadini, che nulla sanno dei gestori delle piattaforme su cui si esprimono o votano, e i gestori delle piattaforme, che invece dei cittadini sanno tutto, dai gusti sessuali alle preferenze alimentari, dalle più profonde paure alle più recondite aspirazioni.

Cosa meglio di questa asimmetria informativa, per creare messaggi e campagne politiche e commerciali profilate che, senza possibilità di alcuna verifica pubblica, parlano direttamente agli elettori, raggiungendoli nella solitudine dei loro smart phone?

Il tema è, appunto, di rilevanza internazionale e non riguarda solo noi. Il 2016 è stato l’anno di diversi cigni neri nella storia delle democrazie occidentali. La Brexit, la vittoria di Trump, il referendum italiano. Cigni neri non per l’imprevedibilità degli eventi in sé, quanto per le modalità con cui si sono verificati e per il ruolo svolto dalle campagne online.

 

La più grave frode elettorale della Gran Bretagna moderna

Attualmente, in Inghilterra sono in corso indagini giornalistiche e parlamentari, secondo cui almeno due comitati pro Brexit avrebbero agito in stretto coordinamento per aggirare il tetto delle spese elettorali, ricevendo fondi da un imprenditore con documentati rapporti con membri del governo russo, e utilizzando i fondi per promuovere una campagna on line del tutto opaca, basata sull’utilizzo dei dati di cittadini profilati dalla società AggregateIQ verosimilmente collegata a Cambridge Analytica.

Negli Stati Uniti, le indagini di Muller mettono in luce un crescente ruolo elettorale non solo delle information operation russe, ma anche di Wikileaks. In Italia invece, al di là di una serie di report pubblicati da Democratica a cavallo fra la fine 2017 e l’inizio del 2018, è ancora scarsa l’attenzione della stampa e dei parlamentari per la fitta rete di siti produttori di false notizie, campagne di denigrazione e disinformazione.

Dall’altra parte, abbiamo una coalizione al governo che promuove una cultura di sfiducia nelle istituzioni e nella competenza, politica e generale, e promette abbastanza credibilmente lo smantellamento della democrazia rappresentativa, per sostituirla demagogicamente con una democrazia diretta on line, estremamente manipolabile.

Mi sembra allora che contrastare questo programma sia la priorità. Così come lo è difendere i cittadini dalla manipolazione e dalla truffa di una democrazia diretta on line. L’azione del PD (e di tutte le forze democratiche e riformiste) nei confronti del Movimento 5 stelle dovrebbe forse concentrarsi su questi obiettivi.

 

 

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