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di Salvatore Curreri 

 

“In memoriam dell’art.72 della Costituzione”: questo era il titolo di un mio articolo a commento dell’ordinanza n. 149/2016 con cui la Corte costituzionale aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal senatore Giovanardi ed altri per violazione del giusto procedimento legislativo a causa del mancato esame di fatto in commissione di quella che sarebbe poi diventata la legge sulle unioni civili.

Era assolutamente prevedibile che, inseguendo la logica del peggiore precedente, si arrivasse ora ad approvare una legge – anzi la legge di bilancio – senza nemmeno passare dall’esame in commissione.

Il ricorso per conflitto di attribuzioni preannunciato dai parlamentari del Pd è quindi assolutamente doveroso, benché la cultura antiparlamentare diffusa nel paese sicuramente lo considererà roba da legulei. E del resto quel ricorso fu inopportunamente definito “espediente da Azzeccagarbugli” dall’allora Presidente del Senato Grasso, lo stesso che oggi accusa il Governo di ciò che allora lui giustificò.

Temo, però, che esso sarà dichiarato inammissibile da una Corte costituzionale che da tempo ha rinunciato ad esercitare un controllo sulla regolarità del procedimento legislativo.

L’apice di questa giurisprudenza rinunciataria è stato toccato proprio nella sopra citata ordinanza in cui la Corte ha derubricato la violazione lamentata dell’esame in commissione previsto dall’art. 72 Cost. a mera violazione delle norme e prassi parlamentari.

Per i giudici, infatti, «la menomazione lamentata dai ricorrenti inerisce tutta alle modalità di svolgimento dei lavori parlamentari come disciplinati da norme e prassi regolamentari, che scandiscono e regolano i momenti del procedimento di formazione delle leggi, quali sono sia l’abbinamento dei disegni di legge attinenti a materie identiche o strettamente connesse, sia la calendarizzazione dei lavori in Assemblea, con conseguente discussione, esame, modifica e votazione dei disegni di legge in tale sede» (X cons. dir.).

In tal modo, come ho scritto, “sostenendo la natura esclusivamente regolamentare, e non costituzionale, del conflitto, la Corte ha dato per dimostrato ciò che invece avrebbe dovuto dimostrare, e cioè che dall’obbligo preliminare di esame in Commissione, sancito dall’art. 72.1 Cost. per ogni disegno di legge, non possa trarsi alcun contenuto precettivo, in grado come tale d’imporsi sulle contrarie norme e prassi parlamentari, e che quindi, nel caso in specie, la loro applicazione non abbia comportato la menomazione delle attribuzioni costituzionali lamentate dai senatori ricorrenti.

La Corte, quindi, ha dichiarato inammissibile il conflitto rinunciando a qualsiasi sforzo interpretativo per individuare il contenuto del procedimento legislativo direttamente ed espressamente disciplinato dall’art. 72.1 Cost. e, di conseguenza, il connesso diritto al suo rispetto, pertinente allo status del singolo parlamentare in forza dell’art 67 Cost., menomato a causa del cattivo uso dell’autonomia regolamentare della camera”.

Quel ricorso Giovanardi costituiva l’occasione perché la Corte intervenisse a tutela del giusto procedimento legislativo di fronte alle sue sempre più gravi degenerazioni. L’avervi rinunciato, rendeva ieri e tanto più oggi quell’ordinanza criticabile, ancor prima che per le motivazioni addotte, per l’assoluta mancata prospettiva di sistema, come i fatti di queste ore amaramente dimostrano

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