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di Marco A. Fusaro

 

Il Parlamento europeo ha reagito rapidamente già alla prima ondata del Covid-19, consentendo sin dagli inizi di marzo il voto a distanza ai suoi deputati, così da evitare che in pieno lockdown, quando si dovevano votare le prime misure di urgenza, questi fossero costretti a recarsi fisicamente a Strasburgo o a Bruxelles o fossero impediti dallo svolgere le proprie funzioni.

La seconda ondata ha colpito duramente il Belgio, e di conseguenza le istituzioni europee: dal Presidente Charles Michel la cui quarantena ha costretto lo spostamento del Consiglio europeo dello scorso settembre, ai presidenti di Commissione Ursula von der Leyen e Parlamento David Sassoli, entrambi costretti all’isolamento di una settimana, senza risparmiare il Parlamento europeo dove nell’ultimo mese sono stati rilevati oltre 130 casi di positività. Ciò ha spinto la presidenza a prevedere misure ancora più stringenti di quelle già previste, e che già valevano per i deputati, disponendo la sospensione della registrazione delle presenze: una decisione impopolare che li ha privati della diaria, considerata necessario disincentivo per ridurre drasticamente la presenza fisica a Bruxelles. Queste misure straordinarie però non ostacolano il lavoro sulle priorità legislative e budgettarie (per esempio, le riunioni dei cosiddetti “triloghi”, impossibili da remoto, e decisive per l’approvazione di dossier legislativi, restano consentite). Invece è stato sconsigliato a tutti parlamentari di recarsi fisicamente nella capitale del Belgio per la prima sessione plenaria dell’11-13 novembre.

In compenso, però, non tutti sanno che i parlamentari europei hanno avuto ed hanno la possibilità di intervenire da remoto, recandosi in quelle che di fatto sono le ambasciate del Parlamento europeo – ovvero gli Uffici d’informazione: si tratta di una o due sedi (per i paesi più grandi), presenti in tutti i paesi membri. L’Italia, per esempio, ne ha due, una a Roma, vicino a Piazza Venezia, ed una a Milano a pochi passi dal Castello Sforzesco. Così, numerosi dei parlamentari europei italiani hanno potuto dire la loro ed intervenire nei dibattiti di questa settimana: come quello sull’esito delle elezioni americane oppure quello sull’accordo del prossimo bilancio pluriennale europeo e sul famoso Recovery Fund, dopo la storica intesa, raggiunta il giorno prima della plenaria. 

Non è la stessa cosa dell’esser presenti, questo è sicuro. E vanno ricordati alcuni aspetti ulteriori: il regolamento attuale non consente alla Commissione e alla Presidenza di turno del Consiglio di intervenire da remoto e pertanto, diversamente dai parlamentari, sono stati presenti fisicamente in aula, insieme al solo presidente Sassoli e a uno sparuto gruppo di contestatori del gruppo ID (Identità e democrazia, destra estrema) che protestavano per l’abolizione della diaria; le c.d. blue cards, ovvero gli interventi che consentono un botta e risposta non erano consentiti (salvo per iscritto); le modifiche all’ordine del giorno disposte il giorno stesso hanno causato non poche difficoltà e la cancellazione di interventi in plenaria da parte di molti deputati; infine, i dibattiti dopo le 20.00 non hanno consentito a tutti i parlamentari di partecipare data, in alcuni casi, la mancanza di treni che consentissero di rientrare presso il proprio domicilio.

Eppure, scaricando una app del Parlamento (interactio) e con auricolari in tasca, armandosi di un po’ di pazienza, gli interventi ed una discussione da remoto è avvenuta con discreto successo. D’altronde, non si può chiedere a tutti i lavoratori e cittadini europei di rispettare coprifuoco, misure di confinamento e chiusure dolorose e poi recarsi in massa nelle aule del Parlamento a Bruxelles, viaggiando da uno stato all’altro dell’UE settimanalmente. Ben venga, dunque, la sessione plenaria con dibattiti a distanza, almeno in una situazione di emergenza come questa.

In ogni caso guardiamo avanti: il Parlamento, almeno quello europeo, ha mostra che se si vuole si può. Già da mesi del resto un gruppo di lavoro speciale ha lavorato su una proposta di modifica del Regolamento del Parlamento che il 13 ottobre è stata approvata da una larga maggioranza in Commissione AFCO – Affari costituzionali. Tra le varie novità si prevede l’attivazione di misure di emergenza da parte del Presidente, previa approvazione della Conferenza dei Presidenti, per tutte o parte delle attività del Parlamento – per un determinato periodo di tempo ed in circostanze eccezionali: queste attività, quindi, potranno svolgersi da remoto. I parlamentari, a maggioranza semplice, potranno però decidere di annullare queste decisioni. Si stabilisce pure il regime di partecipazione a distanza, compreso il voto ed il diritto di intervenire dei deputati, e l’eventuale svolgimento della seduta plenaria in sale di riunione distinte.    

Anche in questo modo, con nuove regole applicabili in una fase di estrema emergenza, si riafferma la centralità ed il ruolo determinante di co-decisore, di autorità di bilancio e scrutinio del Parlamento. Che sia un esempio anche per alcuni Parlamenti nazionali?

Ci si domanda, infine, se una delle conseguenze indirette delle restrizioni da COVID-19 non possa essere, finalmente, un serio ripensamento della doppia sede per le riunioni del Parlamento europeo (Bruxelles, Strasburgo). Si tratta indubbiamente di un’anomalia spiegabile con ragioni storiche e politiche, ma che molti, a partire dalla stragrande parte dei parlamentari, vorrebbero superare, ma che resta giuridicamente vincolante perché sancita esplicitamente in ultimo dal Trattato di Amsterdam del 1999. Adesso che sono possibili sessioni plenarie con interventi a distanza (e in più aule), perché tornare a fare l’assurdamente costosa – 109 milioni l’anno – ed inquinante navetta di migliaia di persone tra Bruxelles e Strasburgo?

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