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Tutti i dubbi sulla scelta della Corte costituzionale polacca

Rosario Sapienza mercoledì 20 Ottobre 2021
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di Rosario Sapienza

 

Confesso di sapere della vicenda relativa alla sentenza della Corte costituzionale polacca degli scorsi giorni solo quel che se ne è letto sui giornali europei.

E di non conoscere il diritto costituzionale polacco quanto sarebbe utile per valutare appieno l’incidenza della sentenza della corte costituzionale.

Ma quanto se ne sa di questa sentenza è sufficiente per proporre alcune considerazioni che mi paiono prudenti ma al tempo stesso inevitabili, visto che con tutta evidenza, la decisione della corte costituzionale polacca mira a contestare la scelta europea secondo la quale le risorse del Recovery Plan non potranno andare a Stati membri che non rispettano i principi dello Stato di diritto come declinati nel diritto europeo.

Prima considerazione: la sentenza dà veste giuridica compiuta a quanto era già stato espresso da politici polacchi (e anche ungheresi). E cioè che i trattati dell’Unione europea non hanno realizzato un trasferimento totale dei poteri sovrani degli Stati membri all’Unione.

E che spetterebbe a ciascuno Stato membro il potere di determinare quanto è stato trasferito e quanto no.

E che questa valutazione spetta, in termini di diritto, alle corti costituzionali statali che utilizzano quale parametro la costituzione nazionale.

Quanto fin qui affermato è in verità conforme al diritto internazionale, perlomeno secondo una sua visione tradizionale.

Solo che, dalla sentenza Van Gend en Loos in poi, e cioè già dal 1963, la Corte di Giustizia europea afferma che l’Unione (e prima di essa le Comunità) con il diritto internazionale c’entra fino a un certo punto, dato che, a suo giudizio, gli Stati hanno voluto creare qualcosa di nuovo nel panorama istituzionale europeo. E tra queste novità c’è l’idea secondo la quale gli atti del diritto dell’Unione prevalgono su quelli statali.

E a questa idea si sono coerentemente ispirati sia i giudicati successivi della Corte, come pure i comportamenti delle istituzioni europee e, ma fino a un certo punto, le Corti costituzionali degli altri Paesi membri.

Fino a un certo punto, perché, ed è questa la nostra seconda considerazione, la teoria dei cosiddetti controlimiti non l’ha inventata la Corte costituzionale polacca, ma le corti costituzionali tedesca, italiana, francese e, a seguire quelle di altri Paesi membri.

Secondo questa teoria (o meglio, secondo le varie distinte teorie elaborate dalle varie Corti costituzionali) se è vero che il diritto dell’Unione può porre dei limiti al diritto degli Stati membri, è altrettanto vero che, specie quando siano in gioco valori fondanti quali quelli costituzionali, il diritto interno, e per esso le corti costituzionali, può imporre dei controlimiti all’applicazione del diritto europeo.

Le Corti costituzionali tedesca e italiana si sono distinte nella elaborazione di questi limiti, ma invero anche nella prudenza nel farli valere.

Prudenza che non è stata certamente condivisa dalla Corte polacca. Ma, su questo punto è difficile pronunciarsi viste le mie carenze cui mi riferivo in apertura di questo breve commento.

Se dovessi dire come andrà a finire, direi che non vedo altro che l’apertura di una nuova fase negoziale, e che dunque le posizioni di partenza vengono presentate in maniera piuttosto rigida, com’è normale che sia.

Staremo a vedere.

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