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Una Bad Godesberg italiana? La “svolta”, fra insidie ed equivoci

Danilo Di Matteo giovedì 5 Gennaio 2023
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di Danilo Di Matteo

 

Negli ultimi lustri del Novecento non mancava chi evocasse una “Bad Godesberg” italiana. Anzi, Bad Godesberg divenne sinonimo e metafora di revisione profonda, di discontinuità (allora prevaleva questo vocabolo). Si era in piena era televisiva, vigeva la “videocrazia”, eppure una porzione significativa della sinistra vicina al Pci provava a interrogarsi seriamente sui nodi più controversi del tempo: Stato e mercato, gli inizi della globalizzazione, le socialdemocrazie europee.

In seguito, e ancora oggi, sembrano prevalere i ragionamenti sui volti e l’immagine: qual è la “faccia” più nuova? Chi può esercitare un maggiore appeal e una maggiore seduzione politica?

Probabilmente sarebbe anacronistico, ora, evocare Bad Godesberg o magari Epinay. Non è aria. Forse è più opportuno ricorrere ad altri esempi, con una premessa: ritrovare la sintonia con la società non vuol dire limitarsi a fotografarla, o magari a studiarla. Per quello ci sono gli specialisti e i centri di ricerca. E neppure basta limitarsi a enunciare problemi e questioni, quasi si trattasse della lista della spesa.

Occorrerebbe mettere a fuoco una linea politica innestando, per così dire, la propria strategia nelle pieghe delle tensioni, delle contraddizioni e dei fermenti della società, incontrando le sue esigenze e le sue aspettative. Qualcosa come “Ceto medio e Emilia rossa” di Palmiro Togliatti, come il discorso di Luciano Lama sulle “compatibilità”, come le acquisizioni della Conferenza programmatica di Rimini del Psi del 1982 sui “meriti” e i “bisogni”. E non dimenticherei la celebre lettera a “Paese Sera” del ventinovenne Marco Pannella.

È difficile, ma è il difficile della Politica, con la maiuscola.

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