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Che cosa succede dopo l’Umbria

Dario Parrini lunedì 28 Ottobre 2019
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di Dario Parrini

 

Che in Umbria evitare la sconfitta fosse un’impresa quasi impossibile lo sapevamo.

Ma bisognava, tanto più con un’affluenza stabile intorno al 65%, che l’alleanza Centrosinistra-M5S perlomeno salisse rispetto al 45% delle europee di maggio. Invece è scesa al 37%. Viceversa il Destracentro è salito dal 51 al 57%.

In confronto al voto di maggio, il distacco tra i due blocchi è salito da 6 a 20 punti.

Penso che c’entrino soprattutto mancanze di tipo  locale: un’alleanza con il M5S che è parsa calata dall’alto, arrivata all’ultimo momento e senza solide basi programmatiche; un candidato presidente che si è impegnato molto ma che è sceso in campo tardi e senza legami profondi nella società (mi pare chiaro che nelle regioni dove non possiamo ripresentare l’uscente il candidato governatore deve essere scelto con molti mesi d’anticipo ed essere fortemente rappresentativo e radicato); la voglia di ampie fette di elettorato umbro di voltare pagina dopo gli scandali e le tempeste politiche dell’ultimo anno.

Il governo nazionale a mio avviso con questo risultato c’entra assai poco.
E comunque deve essere  più coeso.

I partiti  di maggioranza più concordi e determinati nel difendere e nello spiegare il buon lavoro che si sta portando avanti evitando incrementi di tasse e aumentando gli stipendi.

E il Pd?

A prescindere dall’Umbria, il Pd deve darsi velocemente una svolta e una scossa. E riprendere con forza un’iniziativa innovatrice, riformista e a vocazione maggioritaria.

Deve essere chiaro, in ogni occasione, che non inseguiamo nessuno, e che  l’andatura la facciamo noi, parlando a tutti gli italiani.

Il gioco di rimessa è da bandire.

Se siamo capaci di dettare l’agenda sul piano dei temi, le discussioni sulle alleanze sono produttive. Diversamente, rischiano di non essere capite.

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