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Che sbaglio, Zingaretti. Hai gettato il PD nel caos

Carlo Rognoni mercoledì 10 Marzo 2021
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di Carlo Rognoni

 

Non così! Non ci si dimette da segretario del Pd annunciandolo su Facebook. Non così. Non si va via sbattendo la porta dopo 18 mesi di segreteria senza neppure avvertire i collaboratori più vicini. Non così. Non si lascia quello che lui stesso diceva essere il più grande partito della sinistra democratica senza neppure un’indicazione di quella che potrebbe essere una via d’uscita. Con un annuncio imprevedibile, a sorpresa, che ha gettato “un’intera comunità di amici e compagni” nel caos, nella più profonda incertezza.

Ancora una volta Nicola Zingaretti ha sbagliato. Aveva sbagliato quando aveva detto “mai con i Cinquestelle, piuttosto le elezioni”. Aveva sbagliato quando si era incaponito su “ o Conte premier o elezioni”. Con il risultato di prendersi – proprio poco prima di annunciare l’abbandono – un colpo micidiale da KO: l’ultimo sondaggio, infatti – legato all’idea che Conte guidi i Cinquestelle – ha visto i 5S tornare a crescere e il Pd perdere 5 o 6 punti.

E adesso? “Rifondare il Pd. Missione impossibile” è il titolo di un editoriale di Mauro Calise, un bravo e acuto commentatore apparso sul quotidiano Il Mattino. “Auguriamoci che finisca presto questo rito della rifondazione con cui l’oligarchia del Pd cerca di esorcizzare la sua fine”.

E pensare che Zingaretti ha detto di aver dato le dimissioni per dare una scossa al partito, ai capi corrente, ai cacicchi che lo hanno circondato in questi mesi. Altro che scossa! Certo un risultato l’ha ottenuto: non si è mai parlato così tanto del partito democratico come in questa ultima settimana.

Avevano dato più volte dell’incosciente a Matteo Renzi: prima per aver fondato un suo partito (Italia Viva) e voler imitare il presidente Macron, che ha ridotto il partito socialista francese a un misero 6 percento. Poi lo hanno messo in croce per aver chiesto la testa di Conte e di fatto aperto la strada al governo Draghi. Adesso, dopo la brutta storia del viaggio in Arabia Saudita, “il rottamatore” sembra essersi rottamato da solo. In campo, tuttavia, sono rimasti altri incoscienti. Lo stesso Zingaretti per le parole che ha usato andandosene ma anche quei pochi suoi compagni che parlano di transizione convinti che si possa in vista di un Congresso futuro avere il presuntuoso obiettivo di cambiare pelle. Un autoinganno?

La realtà dolorosa di cui ha parlato Massimo Cacciari è che con le dimissioni improvvide di Zingaretti, con l’inutile agitarsi dei tanti vari capi e capetti, si chiude una storia. Spero di sbagliarmi, ma non sarà certo un prossimo Congresso a salvare capra e cavoli. Michele Salvati, in quello che Il Foglio ha chiamato un “manifesto per un nuovo Pd” ha scritto: “La responsabilità di un partito politico è quello di aggiustare continuamente la barca mentre sta navigando e non può concedersi il lusso di sospendere la navigazione per discutere in modo approfondito sulla rotta da seguire”. Salvati conclude con una previsione legata alle prossime elezioni: “Nel caso, che ovviamente non auspico, di una vittoria della destra, la sinistra liberale avrà tutto il tempo per discutere a fondo sulla rotta da seguire, per ampliare la sua tenda e renderla confortevole per tutte le forze che ospiterà”. Insomma il Pd ha poco più di un anno – il tempo del governo Draghi -per tentare l’impossibile: ridimensionare la frammentazione del centrosinistra, individuando alcuni punti unificanti e condivisibili, dalla scuola all’ambiente, alla sanità, per sfidare se stesso e Renzi e Calenda ed Emma Bonino con Più Europa, ma anche quelli di Leu come Speranza che sono più credibili di Bersani o di D’Alema. Se il Pd resta chiuso in se stesso la storia del Pd finisce.

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