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di Mauro Zampini

 

In un precedente articolo, abbiamo scritto di un rischio di anarchia istituzionale. Oggi scriviamo della nostra politica di legislazione elettorale, non degna di una democrazia matura, che ha finito per trasformare e manomettere lo stesso principio di sovranità popolare, con cui apre la Costituzione italiana all’articolo 1. Una politica che ha contribuito, allo svilimento della funzione parlamentare, e della stessa figura di deputati e senatori. Questa è la disfunzione più difficilmente reversibile: più ancora di quelle che riguardano Parlamento e Governo.

 

Tra proporzionale e maggioritario

La Costituzione prevede che deputati e senatori siano eletti dagli elettori, e li rappresentino. Per sessant’anni così è sostanzialmente stato, dapprima con le preferenze dentro un sistema proporzionale; poi, dal 1994 per due legislature, con il sistema uninominale maggioritario dei referendum di Segni e Pannella. Nel 2005, si manifesta l’insofferenza della politica per il sistema maggioritario (e soprattutto per il fatto che le sconfitte con quel sistema sono più brucianti). E così toglie la scelta concreta dei parlamentari agli elettori, e la trasferisce ai partiti, quindi a una o poche persone. Da allora, l’inquietudine dei partiti intorno al sistema elettorale è assoluta, tra riforme fatte e soprattutto riforme tentate.

L’Italia è l’unico paese democratico, tra quelli di un certo peso, a non avere un sistema elettorale stabile, accettato da tutti. Come lo hanno gli Stari uniti, il Regno Unito, la Francia, la Germania. Ogni legislatura nel nostro paese vede i partiti impegnati nel tentativo di cambiare la legge elettorale, soprattutto verso la fine, quando il sistema preferito dai partiti italiani, i sondaggi, mostra a ciascuno cosa conviene.

 

L’anomalia delle liste bloccate

Nel 2005 Il Governo di centrodestra approva il cosiddetto “Porcellum”. Le riforme elettorali successive ai referendum si fanno quasi in sordina, come per riguardo ai cittadini, ai quali la materia elettorale sarebbe indigesta, per la sua tecnicità e astrattezza. Peccato che gli elettori per ben tre volte si siano precipitati alle urne su referendum elettorali (anche nel 1999, quando per un soffio non è passato il maggioritario secco), con un entusiasmo e una determinazione mai visti prima.

Per tre legislature il famigerato Porcellum presenterà agli elettori la anomalia delle liste bloccate, da prendere o rifiutare in blocco. Lunghe o corte, le liste bloccate sono il sogno dei partiti, un sogno nascosto. Si vota un partito, non delle persone. Le opposizioni, dove si trovano i partiti più legati alla Costituzione, fingono con poca credibilità una contrarietà che nasconde la soddisfazione. Gli eletti finiscono per rappresentare non gli elettori, ma chi li nomina davvero, i capi dei partiti. I nuovi sovrani sono loro.

Si esaurisce con le liste bloccate la relazione diretta tra elettore ed eletto, l’idea del deputato di collegio, quello che l’elettore può monitorare nella sua attività, conoscere, valutare, decidere se rivotare o meno all’elezione successiva. I parlamentari sono numeri, e diventano più facilmente accomunabili in un giudizio collettivo come un covo di profittatori, di parassiti senza eccezioni. L’antipolitica è da tempo in agguato, scrive anche libri di successo. Una crisi pesantissima invoglia ad unirsi a quel giudizio sommario sull’intera classe parlamentare, anche per il vistoso peggioramento qualitativo del personale politico, da quando i partiti passano da libere associazioni volontarie di persone unite dalla medesima passione politica ad aziende con un capo assoluto, una massa di dipendenti reclutati e una gerarchia immutabile.

 

Come si giudica il lavoro dei parlamentari?

Il rapporto di dipendenza totale del parlamentare dal proprio leader, il venir meno di ideali politici, favorisce un fenomeno tipico nel mondo del lavoro, la ricerca di una sistemazione più favorevole. Nasce il mercato parlamentare, il mercato delle occasioni, fino ad assumere rilievo penale: e prolifera la migrazione parlamentare da gruppo a gruppo, praticamente sconosciuta per l’intera Prima Repubblica. Fenomeno che muove, in una legislatura, più della metà dei deputati e dei senatori, e che finisce per rendere aleatorio lo stesso esito delle elezioni. A quale rimedio si pensa? Eliminare l’art. 67 della Costituzione, che dà ai parlamentari la rappresentanza dell’intera nazione. Come dire: se un ragazzo ha la voglia di fuggire, basta toglierli le scarpe.

Si inizia a giudicare il lavoro del Parlamento e del parlamentare con un metro meramente quantitativo: quante ore di lavoro, quante presenze in aula (anche quando è tempo buttato), soprattutto quale è il guadagno. Questo, a mio giudizio, è il dramma della politica oggi. Invito tutti a guardare su YouTube Il capo del personale e l’incompiuta di Schubert, intervento di due minuti di un gigantesco Martinazzoli. Giudicare per ore di lavoro prestate o proposte presentate, e ignorare l’altezza della funzione di rappresentanza, la delicatezza di quella di dare le regole ad un paese, di governarlo, scambiare le funzioni più alte con la presenza è un atto di masochismo.

 

La stravagante teoria paracostituzionale del Movimento 5 Stelle

La botta più dura la ha dato, da ultimo, la stravagante teoria paracostituzionale del Movimento 5 Stelle, ultimo arrivato e primo in parlamento: trasformando la funzione del parlamentare in quella del ventriloquo, che ripete le parole del suo elettore, tra l’altro inesistente, non identificabile. Comincia la caccia alla figura del parlamentare, anche di tempi passati, per fargliela pagare, retroattivamente. Un mascalzone, un parassita. Quanto al presente, 900 tra deputati e senatori sono troppi, vanno drasticamente tagliati, decide un parlamento in balia del populismo e della demagogia. Ci si aspetterebbe un’analisi, una motivazione, ma non si va più in là della soddisfazione di eliminare 400 fannulloni. Quindi: “deputato/senatore” eguale “fannullone”. Tanto varrebbe tagliarli tutti, allora. C’è un limite all’autolesionismo.

Ci vorrebbe una dirigenza politica all’altezza, ma non è questa. Complessivamente tutta, chi per inettitudine, chi per acquiescenza, chi convenienza. E, in questo caso, nemmeno un buon garante, un ottimo capo dello Stato può fare molto.

 

 

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