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Dal G20 al nuovo multilateralismo, il futuro dell’Italia in Europa

Alberto Colombelli domenica 14 Novembre 2021
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di Alberto Colombelli

 

Nulla può prescindere dalla capacità di lettura del contesto globale.

Oggi più che mai.

Di fronte a noi un mondo in continua evoluzione in cui emerge un conflitto dominante, quello tra democrazie liberali e autoritarismi.

Con la presenza di forze su due fronti avversi che decisamente ambiscono ad assumere ruoli da potenze egemoni non solo in ambito regionale ma globale.

Un mondo apparentemente multipolare ma di fatto nella sua essenza che vede una netta linea rossa di demarcazione tra chi si ispira al rilancio del multilateralismo nato dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale e chi vuole affermare la propria visione nazionalistica.

I primi promotori di democrazie liberali e stato di diritto, i secondi su una posizione diametralmente opposta.

Una sfida aperta sempre più serrata, con Stati Uniti d’America da una parte e Repubblica Popolare Cinese dall’altra che si affrontano senza esclusione di colpi.

Qui siamo e da qui si è mosso a ottobre il G20 di Roma, il primo della storia in Italia.

Un G20 arrivato dopo mesi di tensione internazionale crescente, che dal ritiro degli Stati Uniti d’America dall’Afghanistan nel cuore della scorsa estate ha portato prima all’escalation delle incursioni militari della Repubblica Popolare Cinese a ridosso dei confini con lo spazio aereo di Taiwan di inizio ottobre, per arrivare poi anche alle esercitazioni congiunte di flotte navali cinesi e russe nel Mar del Giappone.

Proprio Cina e Russia i cui leader sono risultati insieme anche i grandi assenti del G20 appena celebratosi, con il Presidente cinese che si è limitato ad un intervento a distanza.

Tanti i temi al centro dell’agenda di questo vertice celebratosi a casa nostra.

La chiave di lettura più rilevante in chiave geopolitica è però che, proprio in un contesto globale che vede sempre più centrale dal punto di vista strategico l’area dell’Indo-Pacifico, la grande novità offerta dal G20 di Roma è stato l’affermarsi di un nuovo Atlantismo, che vede l’Italia dichiaratamente protagonista nell’impegno congiunto con gli Stati Uniti d’America nel promuovere e rilanciare il multilateralismo.

Un’evidenza di assoluta rilevanza che dimostra come indipendentemente da quello che è divenuto il baricentro degli interessi mondiali il ruolo di Italia e Europa in questo contesto è in ogni caso centrale negli equilibri complessivi.

L’Italia in quanto Paese che unico tra quelli del G7 aveva rischiato negli anni scorsi con la firma del Memorandum of Understanding sulla Belt and Road Initiative, principale progetto strategico anche geopolitico della Repubblica Popolare Cinese, di tradire tutta la propria storia recente di alleanze e di abbracciare definitivamente una nuova prospettiva storica; e in un clima di sempre più diffusa e ristretta memoria, tutto questo sembra molto lontano quando invece “incredibilmente” risale solo al marzo 2019 a firma del medesimo attuale Ministro degli Esteri della nostra Repubblica.

L’Europa in quanto sullo slancio del risultato raggiunto con le elezioni europee del 2019 – che hanno espresso una nuova maggioranza nel Parlamento europeo che ha aggiunto al tradizionale duopolio delle forze popolari e socialiste la decisiva presenza dei liberaldemocratici principalmente grazie al successo della lista transnazionale Renaissance – ha realizzato un passo avanti decisivo verso una dimensione più politica dell’Unione europea, prodottasi nella sua evidenza nell’approvazione del Next Generation EU; un piano che proietta al futuro, che offre opportunità di rilancio proprio nel momento più difficile, quello di una pandemia che tanto dolore e smarrimento ha generato, e che comporta l’assunzione di sempre maggiori responsabilità nella necessità di stare sulle soluzioni e non sui problemi.

Nella necessità di serrare le fila e di dimostrarsi all’altezza della missione che storicamente siamo chiamati a perseguire, l’Italia ha trovato la sua strada nel ricostruire opportunità e fiducia attraverso un Governo Draghi senz’altro politico ma la cui riconosciuta credibilità anche internazionale non è espressione della forza dei partiti politici che lo sostengono bensì dall’autorevolezza indiscussa del proprio Presidente del Consiglio.

Da tutto questo emergono alcuni aspetti che meritano profonda riflessione sull’effettivo stato della politica italiana, che rischiano di rimanere nascosti dietro l’attuale apparente stabilità creatasi.

Il primo è levidente incapacità dei partiti di esprimere oggi tra la propria classe dirigente un proprio candidato allaltezza sia per la carica di Presidente della Repubblica sia per quella di Presidente del Consiglio, al punto che per entrambi il candidato ideale risulta essere sempre la sola persona che guida oggi il Governo.

La seconda è che la rilevanza del ruolo di Presidente del Consiglio soprattutto come rappresentante del Paese nelle sedi che oggi più contano, quali sono quelle europee, impone quasi una scelta obbligata nel confermare l’attuale Capo dell’Esecutivo nel suo ruolo.

La terza è che tutto questo mantiene l’orizzonte di riferimento incapace di andare oltre le strette scadenze dell’imminente elezione del Presidente della Repubblica e quella delle elezioni politiche di inizio 2023.

Con tutte le conseguenze del caso, prima tra tutte l’inevitabile disaffezione da parte dei cittadini dimostrata dai rilevanti livelli di astensionismo riscontrati nella recenti elezioni amministrative.

Di fronte alle complesse sfide di oggi serve così quanto non mai ridare dignità alla Politica, prendendo consapevolezza e non negando le attuali criticità del sistema politico italiano, innanzitutto nell’esprimere adeguata classe dirigente, e rilanciando la partecipazione con un vero progetto riformista che partendo dal nostro ruolo in Europa sappia con coraggio rilanciare una visione capace di indicare il Paese che ci immaginiamo si possa costruire, insieme, da qui al 2030.

Un Paese capace di riconoscere i propri limiti e di andare finalmente oltre, riformandosi pensando questa volta al proprio futuro e non al proprio passato, innanzitutto promuovendo la valorizzazione delle proprie eccellenze, partendo dal rispetto del potenziale di tutti i propri giovani, coinvolgendoli nella costruzione di un’Italia in grado di rimuovere la più rilevante di tutte le diseguaglianze, quella di destino, che a seconda di dove sei nato, della famiglia in cui sei cresciuto, della scuola che hai frequentato, segna il tuo futuro.

Per far questo servono giovani di cuore, senza limiti di età.

Da lì, andando ben oltre le strette scadenze elettorali, si può continuare a mantenere accesa la nostra speranza in un mondo in cui democrazie liberali e stato di diritto possano continuare a essere il nostro modello di riferimento, da vivere ed a cui ispirarsi.

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