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di Marco Leonardi

 

Sono stato in Turchia un mese fa, pochi giorni dopo la vittoria di Erdogan. Ho visitato Smirne, la città che ha conteso Expo a Milano.

Una bella metropoli di 5 milioni di abitanti sul golfo. A tratti molto più florida di quanto mi aspettassi (per esempio con un waterfront e bike sharing che Roma/Ostia se li sognano), e con molti cantieri aperti sulle colline per la costruzione di nuovi quartieri residenziali.

 

La regia del governo centrale

I miei colleghi turchi mi hanno spiegato che la regia dello sviluppo urbano è 100% del governo centrale. Erdogan decide dove come, e anche chi, costruisce al fine di aumentare il suo consenso elettorale e governare l’immigrazione dalle campagne di una popolazione tradizionalista che in prevalenza vota per il partito islamico.

Per comprarsi il consenso, Erdogan ha ecceduto in spesa pubblica e ha mantenuto artificialmente bassi (attraverso la “sua” banca centrale) i tassi di interesse che sono centrali per le operazioni immobiliari.
Questa sua politica, sommata ad altri elementi internazionali, ha fatto esplodere l’inflazione e la crisi di fiducia dei mercati che condizioneranno la Turchia nelle generazioni a venire.

 

La lezione che possiamo ricavare

La Turchia ci impone due riflessioni, una più contingente e una più generale.

La prima, c’è una profonda differenza tra un approccio fortemente centralizzato di sviluppo urbano, tipico dei regimi totalitari come quello turco, e il Piano periferie in Italia (oggi molto attuale), che finanzia progetti elaborati dai sindaci e dalle città metropolitane per la riqualificazione urbanistica e sociale. Un modello top-down vs un modello bottom-up. Purtroppo il Governo pentaleghista vorrebbe cancellare il modello bottom-up per redistribuire risorse a pioggia a tutti i Comuni, anche quelli che non hanno progetti da realizzare.

La seconda riflessione più generale: meno male che c’è l’Europa che impedisce ai sovranisti di casa nostra, di eccedere in spesa pubblica o di manovrare i tassi di interesse per comprare il consenso elettorale di breve periodo e contemporaneamente ammazzare il futuro delle prossime generazioni.

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