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L’attività parlamentare ai tempi del Covid-19: fiat iustitia et pereat mundus?

Salvatore Curreri giovedì 12 Marzo 2020
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di Salvatore Curreri

 

Sta sollevando numerose polemiche le determinazioni assunte dalla Conferenza dei capigruppo, su proposta del Presidente della Camera, in ordine alle modalità di svolgimento della seduta pomeridiana odierna della Camera dei deputati, in cui, per far fronte agli eventi eccezionali correlati all’attuale emergenza sanitaria, dovrà essere approvato il ricorso al maggior indebitamento a maggioranza assoluta, come previsto dall’articolo 81, comma 2, Cost.

Presto atto delle numerose assenze dei deputati, specie di quelli eletti al Nord, e della necessità di rispettare le prescrizioni delle autorità sanitarie per il contenimento del contagio, con particolare riferimento alla distanza di un metro che deve separare i deputati, la Conferenza dei capigruppo all’unanimità ha deciso in via eccezionale che alla seduta pomeridiana odierna parteciperanno solo 350 deputati, così da garantire il numero legale e la maggioranza assoluta di 316, come detto costituzionalmente richiesta. Tali deputati, ovviamente, saranno scelti non a caso ma in modo da garantire la proporzionalità fra i gruppi parlamentari, che la casuale diffusione del virus potrebbe ben alterare. Stesse decisioni, sembra, si appresta ad adottare il Senato dove, peraltro, l’età media è più alta, con conseguente innalzamento del fattore di rischio.

Si tratta di una decisione inedita ma solidamente fondata sull’attuale emergenza sanitaria, e – soprattutto – avente solo valore politico e non giuridico. Essa pertanto – ovviamente – non ha, né potrebbe mai avere alcun valore vincolante nei confronti dei singoli deputati i quali, se volessero, potranno partecipare alla seduta ed al voto, non potendo nessuno impedire loro l’esercizio del loro mandato. Se così fosse, ci sarebbero tutti gli estremi per sollevare un conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale per violazione delle prerogative parlamentari.

Solo chi non coglie la differenza tra un gentlemen agreement tra tutte le forze politiche e una decisione giuridicamente vincolante può tacciare il provvedimento d’incostituzionalità. Sovviene al riguardo un antico istituto parlamentare di origine anglosassone, applicato ad esempio in Gran Bretagna, Canada e Svezia: il c.d. pairing, cioè la ponderazione degli assenti per cui alle forzate assenze di un certo numero di parlamentari della maggioranza corrisponde la volontaria assenza di altrettanti parlamentari dell’opposizione, e viceversa, di modo che nessuno possa profittare di tali situazioni. Sotto questo profilo, la decisione della Conferenza dei capigruppo può dirsi un pairing collettivo, perché al pari di quello individuale è ispirato alla medesima logica di rispetto reciproco tra le forze politiche, oltreché di puro buon senso.

Del resto un caso di pairing c’è già stato alla Camera quando il capogruppo del Pd Graziano Delrio ha fatto il beau geste di non partecipare alle votazioni dell’assemblea per bilanciare il deputato della Lega Guidesi, messo in missione dal Presidente Fico per giustificarne l’assenza dovuta al fatto di risiedere in una zona rossa della Lombardia

Se poi si vuole affrontare il problema alla radice, anche per evitare che il diffondersi dell’epidemia impedisca alle camere financo di raggiungere il numero legale della maggioranza dei componenti prescritto dall’art. 64.3 Cost. per ogni deliberazione, sarebbe il caso di affrontare da subito il tema dell’introduzione del voto telematico.

A tale soluzione non pare osti lo stesso art. 64.3 Cost. che fa semplicemente riferimento alla necessaria presenza dei componenti delle camere, lasciando quindi all’autonomia regolamentare di ciascuna camera se essa debba essere esclusivamente quella fisica oppure, in circostanze eccezionali, anche quella telematica.

Vale la pena ricordare al riguardo che per quanto riguarda la determinazione delle specifiche modalità di votazione le camere godono di ampia autonomia, sottratta ad ogni sindacato esterno, come ha chiarito la Corte costituzionale, nella famosa sentenza sui cosiddetti pianisti (379/1996). In quell’occasione, infatti, la Corte ha espressamente affermato che nell’autonomia regolamentare, garantita alle Camere dagli articoli 64, 72 e 68 Cost., rientrano quei “comportamenti aventi una natura squisitamente funzionale”, cioè posti in essere dal parlamentare in quanto tale e non come semplice persona. Tra questi comportamenti rientra l’esercizio del voto in Parlamento, che trova la sua “esaustiva qualificazione” nel diritto parlamentare, incidendo su “beni la cui esigenza di tutela non trascende l’esclusiva competenza della Camera” e su cui “non può pertanto essere ammesso… un sindacato esterno da parte dell’autorità giudiziaria”.

Nessuna norma scritta vigente è tale quindi da escludere che le Camere possano introdurre l’intervento a distanza ed il voto telematico in circostanze eccezionali, nell’esercizio della loro autonomia interpretativa dell’art. 64 Cost. Ciò si dovrebbe auspicabilmente fare tramite un’espressa modifica regolamentare, ma se l’urgenza del momento rendesse tale decisione indifferibile, si potrebbe anche procedere per decisione del Presidente della Assemblea, previo parere unanime della Giunta del Regolamento (c.d. nemine contradicente).

Difatti, la migliore garanzia che di tali decisioni non si possa abusare non sta nella situazione di emergenza che si è venuta a creare – e che potrebbe essere strumentalmente invocata in futuro – ma nella unanime sua valutazione da parte di tutte le forze politiche presenti

Si potrebbe, pertanto, introdurre una disciplina simile a quella vigente nel Parlamento catalano dove, nel silenzio dello Statuto, è prevista la possibilità del voto per delega (sulla cui costituzionalità invece nutro molti dubbi) e quella del voto telematico. Secondo l’art. 95 del regolamento di quel Parlamento, infatti, “1. I deputati che per motivo di maternità o paternità non possono adempiere al dovere di assistere alle discussioni e votazioni dell’Assemblea possono delegare il loro voto ad un altro deputato. 2. I deputati possono delegare il loro voto in caso di ricovero in ospedale, grave infermità o incapacità prolungata debitamente provata. La Presidenza del Parlamento deve stabilire i criteri generali per delimitare le ipotesi che permettono la delega. 3. La delega del voto deve farsi mediante scritto diretto alla Presidenza del Parlamento, nel quale deve risultare il nome della persona che delega il voto e che riceve la delega, così come le discussioni e le votazioni in cui deve esercitarsi o, se del caso, la durata della delega. La Presidenza, ammettendo la richiesta, stabilisce il procedimento per esercitare il voto delegato, che può includere il voto telematico se è possibile e se può essere esercitato con piene garanzie”.

Va da sé che l’introduzione del voto per via telematica presuppone che vengano presi tutti gli accorgimenti informatici che rendano sicuro e veridico il voto così espresso.

Chi si oppone all’introduzione di misure particolari dimostra di non comprendere e farsi carico della gravità del momento, che potrebbe portare alla completa paralisi dell’attività delle Camere, con un danno ben maggiore per la nostra democrazia parlamentare. Insomma, per costoro – purtroppo è proprio il caso di dirlo – fiat iustitia et pereat mundus.

 

(Pubblicato su www.lacostituzione.info l’11 marzo 2020)

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