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L’attuale linea del PD allontana la prospettiva delle riforme

Enrico Morando sabato 23 Gennaio 2021
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di Enrico Morando

 

Al momento della formazione del Governo Conte bis, Zingaretti e tutto il PD avevano insistito sullo stato di necessità che imponeva di tentare di dar vita ad un Governo con il M5S, con lo stesso Presidente del Consiglio: troppo grave il rischio che il duo antieuro Salvini-Meloni faceva gravare sul presente e sul futuro del Paese. Che si facesse il Governo, dunque, se il voto “Ursula” ne aveva creato le condizioni, visto che certamente ce n’era la necessità, ma a patto che fosse chiaro che la strategia della “vocazione maggioritaria” restava sullo sfondo di quella apparentemente contraddittoria scelta tattica. In fondo, la storia e la cronaca sono ricche di successi in partenza non prevedibili, ottenuti “buscando il ponente per il levante”…

Dopo appena 15 mesi, Goffredo Bettini esplicita non tanto l’abbandono, quanto il completo rovesciamento di questa prospettiva: “la politica e il governo sono tutt’uno…; l’attuale maggioranza avrebbe il dovere di presentarsi agli elettori…; la leadership di Conte non è mai stata in discussione…; sarebbe comprensibile che la forza che ha nel Paese si trasformasse in un soggetto politico…; pretendere che il PD rilanci l’ambizione della vocazione maggioritaria oggi sarebbe presuntuoso e arrogante…; il proporzionale potrebbe favorire maggiormente il radicamento di ogni forza democratica e la pazienza e l’umiltà unitaria verso gli altri” (La Stampa 27-12-‘20).

Hanno torto quanti sostengono che il PD “non ha una linea”: quella che ho richiamato nelle poche righe che precedono è una precisa strategia politica. Ed è lungo questa linea che il PD si sta esplicitamente muovendo, anche nell’affrontare la crisi di governo che si è aperta per iniziativa di Italia Viva.

La scarsa capacità del PD di incidere sull’agenda del Governo, il suo dedicarsi pressoché esclusivamente ad una attività di mediazione tra Conte, il M5S e IV, non sono dunque frutto di “incertezza di linea politica”, ma del suo contrario: cioè, di una strategia in cui il PD si assegna il ruolo di una – si spera la più forte, ma anche su questo non si insiste più di tanto: se rimpicciolirsi elettoralmente serve a far nascere qualche nuovo partito “alleato”… – delle tre o quattro gambe della nuova coalizione, da contrapporre al destra-centro a egemonia salviniana (o meloniana: per l’essenziale – i rapporti con l’Unione – fa lo stesso).

La mia tesi è che questo rovesciamento di linea non giovi né al Governo, né al Paese. Non giova al Governo, perché un PD che non avesse archiviato la vocazione maggioritaria si sarebbe “dovuto“ impegnare, per renderla credibile, nella elaborazione di una “sua” proposta di Recovery Plan, da presentare già a settembre. Senza nessuna arroganza, pronto a costruire le necessarie mediazioni, ma determinato nell’indicare al Paese scelte di impiego delle risorse del Next Generation EU coerenti con un disegno di medio-lungo periodo, che può non essere alla portata dei governi di questa legislatura, ma deve essere il fulcro di una proposta su cui sfidare il destra-centro alle prossime elezioni, quando saranno.

Il Governo avrebbe potuto giovarsi di questa iniziativa del PD, perché essa avrebbe reso più fertile il terreno della necessaria mediazione dentro la maggioranza. Un esempio basterà: la scelta della NADEF di utilizzare gran parte dei prestiti europei per sostituire il creditore che finanzia scelte già decise e iscritte in bilancio è, allo stato attuale delle cose, priva di alternative. Ma non è vero che non ne aveva fin dall’inizio: l’effetto di stabilizzazione sul deficit e sul debito che oggi siamo costretti a ricercare finanziando con risorse europee spese già decise, si sarebbe potuto ottenere – addirittura in modo più sicuro e con soluzioni più coerenti con le Raccomandazioni della Commissione – modificando radicalmente Quota 100 (un po’ di spazio finanziario ancora c’è) e il Reddito di Cittadinanza (sostanzialmente, riconducendolo ad un intervento per portare il reddito dei poveri assoluti sopra la relativa soglia).

Scelte impraticabili, con i governi oggi possibili? Accettando la necessaria mediazione, il PD avrebbe potuto prenderne atto. Non prima di aver impegnato il Paese in una seria discussione su ciò che veramente servirebbe per uscire dalla lunga stagnazione in cui si trova.

Perché se c’è bisogno – come ha scritto Veltroni – di “governi che nascano non solo per impedire che l’altro governi, ma per realizzare le riforme, la modernizzazione, la giustizia sociale che costituisce lo scopo precipuo della stessa esistenza dei partiti politici”, una cosa è certa: la linea politica illustrata da Bettini allontana questa prospettiva. Non è un caso che ci sia un unico punto programmatico su cui il PD insiste con energia degna di miglior causa: l’approvazione della nuova legge elettorale proporzionale.

Una coalizione “strategica” tra PD, M5S, LEU e altre formazioni di centro (ora si confida nell’opera dei “costruttori”), può avere come collante – esattamente come avvenne per l’Unione – solo la comune volontà di impedire che l’altro governi. Per tutto il resto, ognuno dei partiti che ne fa parte ha bisogno di presentarsi agli elettori “libero” da alcun vincolo politico e programmatico. Le scelte del Capo del governo e del programma verranno dopo, quando gli elettori non potranno più interferire… Non c’è bisogno di altre righe per dimostrare l’impotenza riformatrice di un Governo siffatto.

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