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Lega, il Covid mette in crisi le false certezze di Salvini

Gianluca Passarelli martedì 2 Giugno 2020
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di Gianluca Passarelli

 

Per almeno un lustro, da quando il sen. Matteo Salvini è arrivato alla guida della Lega, l’Italia ha vissuto un periodo di vera e propria fascinazione popolare verso l’ex ministro dell’Interno.

Gli elementi di innovazione propugnati da Salvini per far dimenticare i disastri del “cerchio magico” bossiano, i diamanti e le lauree false in Albania, e tentare di rilanciare un partito esangue elettoralmente, sono state sostanzialmente tre.

 

La Lega Nazionale: Salvini ha provato a “nazionalizzare” il partito.

La Lega di Salvini è riuscita a realizzare un cambiamento nella continuità. Negli anni recenti è passata da movimento federalista, autonomista e secessionista (puntava a separare anche istituzionalmente le regioni del Nord dal resto dell’Italia) a formazione che si proietta dentro il mondo e i temi della destra nazionalista: lotta alla mondializzazione, all’immigrazione, all’Europa della moneta unica e della democrazia pluralista. In passato la Lega guardava con favore all’“Europa delle regioni” come via di uscita dallo Stato nazionale. Di fronte al mancato riconoscimento della possibilità di uno stato indipendente padano, la Lega ha cominciato a opporsi all’Europa in nome di un progetto diverso. È passata dallo slogan “Prima il Nord” a quello “Prima gli italiani”. È diventato un partito nazionalista ma non pienamente nazionale, perché il Nord Italia resta il suo nucleo economico e identitario da difendere contro la concorrenza globale (mentre il resto del paese un’appendice elettorale funzionale al progetto). In questa chiave si deve leggere ad esempio la proposta di rilancio dell’“autonomia differenziata” per mantenere una quota maggiore di tassazione all’interno delle regioni e ridurre i meccanismi di riequilibrio e redistribuzione statale tra aree ricche e aree povere (in altri termini, un attacco al welfare nazionale).

 

Lega partito “neutrale”, terzo, super partes, a-ideologico, post-ideologico.

La Lega ha rafforzato la collocazione nell’ambito delle formazioni populiste europee, diventando sempre più un partito di estrema destra. Siamo in presenza di un cambiamento di lungo periodo, che si è accentuato negli anni recenti. Si rileva dalla posizione del partito e degli elettori su alcuni temi chiave come l’immigrazione, l’euroscetticismo, il tradizionalismo etico (chiusura sui diritti delle coppie gay, ruolo della donna, ecc.). La crescita di importanza della questione immigrazione nella retorica politica leghista è forse la dimensione che più di altre aiuta a cogliere questa trasformazione. Attorno a questa issue la Lega ha costruito le sue posizioni di successo più forti, rilanciando l’immagine di una società moralmente compatta, cristiana nelle sue origini, sciovinista (welfare per gli italiani) e senza perdere consensi nonostante questa estremizzazione dei riferimenti culturali-ideologici-valoriali.

 

Lega partito dei derelitti, dei poveri, dei disoccupati.

Per quanto riguarda la sua base sociale, l’elettorato della Lega è cambiato poco nel corso del tempo: cittadini di mezza età, relativamente sicuri del loro posto di lavori e preoccupati per la perdita del potere di acquisto del salario (o della pensione futura). La Lega resta un partito con una forte presenza di lavoratori autonomi. La quota di operai è diventata importante, ma non prevalente e insufficiente per sostenere la tesi di uno sfondamento leghista tra i ceti subalterni. Si può parlare di una formazione solo in parte interclassista per la difficoltà che mantiene a intercettare il mondo lavorativo del settore pubblico ma anche perché il partito non riesce a egemonizzare le aree del non lavoro e del precariato e neppure quella dei giovani, dove a ottenere più successi è il M5s. L’aspirazione di Salvini è rappresentare assieme la borghesia produttiva (del Nord) e i ceti popolari. Avere un blocco di consensi trasversale è un punto di forza, ma rende più difficile conciliare politiche e interessi diversi senza creare confusione tra l’elettorato.

 

In tempi normali, o meglio ordinari, la vocazione populista e anti-sistema ha rappresentato una rendita di posizione redditizia. Viceversa, la proposta politica della Lega di Salvini risulta evanescente alla luce dell’emergenza generata dal COVID-19.

In passato, le contraddizioni erano state variamente disvelate e l’inadeguatezza messa in evidenza, anche con dati empirici, ma nello zeitgeist populista e qualunquista, erano state comunque accettate e sostenute da messi di elettori. Soprattutto sono state avallate, sostenute e condivise da ampie fette della borghesia italiana, spesso avvezza a chinar la testa al potente di turno, senza entrare nel merito delle questioni, in un rapporto malato con il potere, votato alla subordinazione e non, invece, al confronto dialettico, come avviene nelle moderne democrazie liberali.

Le drammatiche vicende della pandemia mettono in risalto molte zone grigie sul presunto modello di buon governo della Lombardia a traino leghista, sulla sanità privatizzata e lottizzata, e rendono fatui gli strali sul “prima gli italiani”.

Infine, ri-emerge chiaramente la divisione storica tra leghisti veneti e leghisti lombardi, nel quado di una classe dirigente leghista che mai ha realmente condiviso la scelta di Salvini, per quanto tattica fosse, di presentarsi come un leader di partito nazionale. Le indubbie abilità politiche di Salvini si scontrano con la fase “emergenziale” e, come emerso dalla recente ottima intervista raccolta da M. Cremonesi sul Corriere, pongono in evidenza molte difficoltà del Capitano.

L’assenza del tema Immigrazione toglie acqua e ossigeno alla propaganda di Salvini, colpevole di aver reso la Lega un partito monotematico (one issue party): senza quel tema Salvini ha le polveri bagnate.

Inoltre, Salvini è ritenuto colpevole da un’ampia fetta di partito di aver abbandonato i temi cari alla Lega. Dal federalismo al governo locale. Negli anni Ottanta e Novanta, pur tra molte contraddizioni, la Lega bossiana contribuì a disvelare malcostume e malgoverno, la necessità di liberalizzare l’economia e il Paese, e a porre la “questione del Nord”, oramai senza più interlocutori dopo la caduta della DC.

In questa fase, invece, sembra che Salvini abbia perso il touch, l’empatia con il popolo italiano e quello del Nord in particolare. Inoltre, la divisione con Zaia è sempre più evidente, a conferma dell’antico rapporto di “odio-amore” tra leghisti veneti e lombardi. Il silenzio di Maroni e le forti perplessità di Giorgetti, specialmente sull’Europa, sono eloquenti assai.

Il COVID porta via dunque molte false certezze sulla Lega Nord e anche la guida tetragona di Salvini, sempre più discussa e contendibile.

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