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L’energia che serve all’Italia per superare la crisi

Umberto Minopoli lunedì 23 Maggio 2022
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di Umberto Minopoli

 

Dovrebbe essere chiaro a tutti che da circa 10 mesi siamo in crisi energetica piena. Iniziata nell’agosto 21 con l’esplosione dei prezzi del gas e poi resa drammatica dalla guerra in Ucraina.

Dovrebbe essere chiaro, anche, che la crisi non finirà con la fine della guerra. E che è assai più grave per quei sistemi energetici – specie Italia e Germania – che dipendono eccessivamente dall’importazione di beni energetici primari (gas, petrolio, carbone, materie prime).

Ci aspettano, qualunque sarà l’esito della guerra, alcuni anni di emergenza energetica e tensioni sui mercati delle materie prime. Occorrerebbe un atteggiamento pragmatico e consapevole dei governi. Dovremmo disporre di un programma serio per sostituire una parte considerevole dei beni energetici che importiamo con beni energetici che produciamo in casa. E per casa si intende non solo il territorio nazionale ma l’intero continente. Che è, energeticamente, interconnesso (reti elettriche, gasdotti, pipelines ecc).

Ci serve una politica di indipendenza energetica a scala europea. Dove le fonti di generazione siano concepite come fonti comunitarie. Non solo domestiche. L’elettricità è la più pregiata di tali fonti. Essa è generata da varie fonti primarie, tra cui il gas (forse, col petrolio la fonte maggioritaria).

Dovremo necessariamente, nel tempo, redistribuire parte della generazione elettrica dal gas ad altre fonti. C’è ne sono solo tre utilizzabili: rinnovabili (solare ed eolico) idroelettrico (per chi ha ancora bacini utilizzabili) e nucleare.

Occorrerebbe, pragmaticamente, che a livello nazionale decidessimo quanta energia elettrica, prodotta da queste tre fonti, sarebbe auspicabile e, soprattutto, necessario avere nel nostro mix energetico nazionale al 2030 e oltre. È un tema di programmazione energetica. Una volta era la principale azione di pianificazione dei governi. Da alcuni anni è stata sostituita solo dalla previsione dell’abbattimento delle emissioni. Non basta più. Servirebbe anche quella del mix delle fonti con cui pensiamo di soddisfare, nel tempo, i nostri fabbisogni. Nel quadro della concertazione europea.

È così pazzesco chiedere che questa analisi dei fabbisogni delle varie fonti sia estesa anche a quella nucleare? Per capire, sulla base di dati e fatti verificabili, quali siano effettivamente tempi, costi e controindicazioni eventuali di un re-ingresso dell’Italia nella generazione di energia da nucleare?

Visto che, in ogni caso, dovremo comprarla (e in quantità crescenti) da centrali che stanno a pochi chilometri dai nostri confini? Ecco il danno che fanno quelle forze politiche di governo che, sull’energia, avanzano pregiudiziali ideologiche, ammantate di falsi ecologismi, inconsapevoli della crisi energetica che stiamo attraversando.

Ma il problema va al di là dei 5 Stelle, vera palla al piede della salvezza del nostro sistema energetico. Sull’energia nucleare è l’intero spettro politico del centrosinistra, con l’eccezione coraggiosa di Carlo Calenda (e, dichiarazioni del 17 maggio, di Matteo Renzi) che si ostina in un atteggiamento antistorico, pregiudiziale e demagogico. O di silenzio e rimozione del problema. Come se la mucca non fosse, in questo caso, presente nel corridoio.

Vale, purtroppo, anche per il mio partito, il Pd. Direi soprattutto per esso. Che sarà la forza decisiva di ogni futura maggioranza di governo.

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