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Milano, il Pd su Craxi (e sul populismo giudiziario) ancora balbetta

Carlo Cerami giovedì 6 Febbraio 2020
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di Carlo Cerami

 

“Mani pulite” assaltò i partiti di governo ed in particolare quello socialista, usando metodi giudiziari sommari e violenti, facendo letteralmente saltare il quadro delle garanzie di difesa a mezzo di un uso estremo di mezzi coercitivi e trasformando uomini delle istituzioni in mostri, rivelando una febbre moralista ipocrita, strumentale e devastante.

Su “Mani pulite” andrebbe fatta luce con una commissione parlamentare d’inchiesta, per capirne le deviazioni, gli arbitrii, i distinguo, le connivenze con pezzi del sistema di potere economico e militare, anche internazionale, dell’epoca.

Craxi pagò con la vita. Si sottrasse alla giustizia deviata (e forse questo col senno di poi può avere aiutato la campagna contro di lui) e si ammalò, senza aver avuto alcuna riparazione se non balbettii e qualche timido riconoscimento da uomini della sinistra come Massimo D’Alema che offri i funerali di stato, Piero Fassino e Giorgio Napolitano.

Nel 1997 il Pds accolse molti socialisti, nel partito e poi nel governo. Cambiò nome, Ds, sebbene non seppe affrontare la questione fondamentale della deriva giustizialista che si concentrò su molti indagati.

Ci furono suicidi, infarti, malattie. Ci fu un mercato delle confessioni, giocato sul patteggiamento. Ci furono studi legali assunti a servizio del sistema e avvocati eroici che si sottrassero.

Certamente il populismo giudiziario fu spinto dall’opinione pubblica. Altrettanto certamente fu alimentato da mezzi di informazione posseduti da centrali di potere che si costruivano una nuova legittimazione, trasferita poi nella conquista di pezzi dell’economia pubblica in dismissione.

Leggere i balbettii, le retromarcie, ritrovare nel Pd toni e argomenti sepolti da tempo, assistere alla pochezza del dibattito che si è tenuto a Milano in questi giorni, crea sgomento.

Capisco che molte carriere si siano costruite su quella scorciatoia giudiziaria, e qualche debito debba ancora essere pagato.

Ma non avere capito che è matura nella coscienza popolare l’esigenza di rivalutare per intero la storia e l’onorabilità dei socialisti italiani – e non solo di loro – ritrovando le radici identitarie di una nazione persa in una guerra civile devastante che ha paralizzato la sua crescita e la sua coesione sociale e culturale, non avere capito che la storia socialista italiana deve essere parte integrante e rivendicata della identità della sinistra, rivela grave debolezza politica e identitaria e scarso coraggio, perpetuando così l’offesa storica che fu compiuta.

E rivela anche la profondità della distorsione iniettata nel sangue di tanti compagni che appaiono privi delle basi culturali per comprendere quanto accadde sul piano storico e politico in quegli anni drammatici e, a mio avviso, infausti.

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1 Commenti

  1. Gianpietro OLIVARI giovedì 6 Febbraio 2020

    Complimenti! La storia non si cambia, ma fare luce sui fatti dell’epoca è una esigenza di verità.

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