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di Pietro Salinari

 

È stato notato come i vari paesi abbiano affrontato il dilagare dell’epidemia con strategie diverse. Queste sono state determinate sia dalle condizioni oggettive in cui il paese si trovava (grado di apertura dell’economia, robustezza del sistema sanitario, efficienza dell’amministrazione) sia in base a scelte politiche; tra queste decidere in che misura danneggiare l’economia piuttosto che rallentare la diffusione del virus. Le due scelte sembravano antitetiche, cioè sembrava impossibile contenere il contagio senza nel contempo bloccare anche le attività produttive.

 

Corea: rallentare la diffusione del virus senza danneggiare l’economia

In un caso però sembra che questo dilemma sia stato risolto felicemente: in Corea si è riusciti a contenere l’epidemia applicando misure restrittive ad un numero relativamente limitato di persone.

Il caso è ancor più interessante perché la Corea ha una popolazione di poco inferiore a quella italiana (51 milioni circa contro 61), come l’Italia è un paese democratico, dedica al sistema sanitario risorse comparabili alle nostre (7.3% contro il nostro 8.9%, secondo la World Health Organization), e anche le date in cui l’epidemia si è manifestata sono vicine.

Se i dati sono affidabili, le differenze nell’impatto della crisi sono impressionanti: al 20 marzo si contavano 94 morti in Corea, contro 3.405 in Italia, nonostante che l’Italia abbia posto restrizioni prima a regioni con milioni di persone, ora all’intero paese, mentre la Corea ha dichiarato di aver posto in autoisolamento meno di 30.000 persone, alcune attività e un edificio abitativo sono stati chiusi, ma certo è che finora nessuna regione sia stata completamente isolata.

La Reuters ha dedicato il 12 marzo uno Special Report per approfondire le differenze tra le tattiche dei due paesi “Italy and South Korea virus outbreaks reveal disparity in deaths and tactics” [1] di cui consiglio la lettura, insieme a un altro Special Report sulla corsa a sviluppare i test [2] di cui mi limito a riassumere gli elementi salienti.

 

Una strategia basata sui test

Il governo coreano ha fatto tesoro della precedente epidemia, la SARS, e quando si sono registrati i primi casi di Corona Virus in Cina ha deciso di adottare una strategia basata su un’applicazione dei test in modo assai diffuso e sostenuto nel tempo, sull’individuare i contagiati e provvedere all’isolamento mirato di tutte le persone entrate in contatto con loro.

Per far ciò si sono mobilitate una ventina di imprese nazionali in grado di produrre test, invitandole a sviluppare i kit diagnostici e garantendo un processo di autorizzazione veloce. Ottenuti i kit si sono approntate le stazioni di test attraverso il finestrino dell’automobile, che hanno consentito di avvicendare rapidamente i soggetti e tenerli nel contempo isolati sia tra di loro che dalle strutture mediche, il test è gratuito e i risultati sono inviati per SMS entro un giorno. Così il sistema ha raggiunto la capacità di 15.000 test al giorno. Quando un soggetto è risultato positivo, partono due processi. Uno riguarda il paziente, l’altro che riguarda i suoi contatti: il paziente è pregato di restare in casa, e viene preso in carico dal sistema informativo medico che cura che quotidianamente vengano chieste per telefono le sue condizioni, e quando il suo stato lo richiede e quando un letto è libero venga prelevato da un’autoambulanza isolata biologicamente e ricoverato. Nel contempo una squadra di investigatori militari cerca di individuare tutte le persone con cui il malato è entrato in contatto, avvalendosi di tutte le tecniche disponibili: le testimonianze del paziente vengono controllate con dati della rete cellulare, black box delle auto, telecamere. Gli investigatori hanno libero accesso a tutti questi dati. Tutte le persone contattate vengono a loro volta invitate a sottoporsi al test, tramite una app telefonica o semplicemente un avviso sulla porta di casa. Tutti questi processi sono supportati da un robusto sistema informativo.

In conclusione sembra che la Corea si sia sottratta al dilemma frenare l’epidemia o bloccare l’economia, e invece ha contenuto l’epidemia senza bloccare l’economia, grazie ad un’organizzazione sofisticata, che ha consentito quarantene selettive.

 

Perché la Corea è stata capace di rispondere

Pur da queste sommarie descrizioni appare chiaro che questo tipo di risposta non nasce da un’improvvisazione, ma è il frutto di un eco-sistema in grado di disegnare un processo complesso, di commissionare i materiali necessari, di mettere in piedi tutta la struttura di supporto, di promulgare le norme che consentano l’approvazione dei farmaci, la disponibilità dei dati e addestrare tutto il personale destinato ad implementare questo disegno.

Per capire come tutto ciò sia possibile occorre capire quali scelte abbiano guidato l’evoluzione della Corea negli ultimi decenni; negli anni 80 e nei primi anni 90 la Corea ha compiuto una virata decisiva, diventando uno dei principali produttori di circuiti integrati, partendo da una presenza trascurabile. Come osserva Stiglitz[3], “la Corea non aveva un vantaggio comparativo nella produzione di semiconduttori. Il suo vantaggio comparativo statico era nella produzione del riso. Se avesse seguito il suo vantaggio comparativo statico […] sarebbe potuta divenire il miglior coltivatore di riso ma sarebbe ancora povera”. Più avanti nello stesso capitolo gli autori, commentando i successi dei paesi asiatici, osservano: “Non è stata la crescita delle esportazioni di per sé che li ha condotti al successo; è stata la crescita in particolari tipi di export associati con alti livelli di apprendimento”.

Quindi sono state le scelte degli ultimi quaranta anni, di politica industriale, politica della ricerca, dell’istruzione, della pubblica amministrazione che hanno portato la Corea ad essere nelle condizioni di avvalersi di tutti i mezzi della scienza e dellla tecnologia per ottenere quel brillante risultato nella gestione dell’epidemia.

Queste riflessioni danno qualche indicazione all’Italia su come gestire meglio la sua attuale crisi. Non ho le professionalità che consentano di dire se allo stato attuale la via coreana di contenimento dell’epidemia sia in tutto o in parte percorribile.

Mi sembra però che le riflessioni sulla storia coreana e gli studi di Stiglitz sulla società della conoscenza offrano validi suggerimenti su come prepararsi per quando l’epidemia sarà finita.

 

Prepararsi per quando l’epidemia sarà finita

L’Italia è in declino da svariati decenni, non solo nel PIL; Ignazio Visco in un lucido saggio [4] ha elencato una dozzina di indicatori del capitale umano e dell’economia della conoscenza che sono pesantemente al di sotto della media europea; mentre era in corso una rivoluzione tecnologica senza precedenti, di cui altri paesi hanno saputo trarre vantaggi molto più di noi.

Quando l’epidemia sarà finita l’Italia si troverà in una condizione oggettiva pessima: grave contrazione del PIL, indebitamento molto alto, una serie di imprese in dissesto. E, a differenza di altri paesi, la catastrofe presente si sommerà a mali antichi, cos’ come il covir abbatte chi aveva patologie multiple pregresse.

La path-dependence, la forte tendenza a continuare a comportarsi come in passato, è una brutta bestia: la società invece di reagire al declino si è fossilizzata in una serie di comportamenti che alimentano la decadenza, ma a cui tutti si sono adattati resistendo ferocemente a qualunque cambiamento.

Ma dei fenomeni nuovi si sono manifestati nel corso della crisi: improvvisamente il telelavoro è balzato da timide e caute sperimentazioni a prassi diffusa, alcune scuole hanno scoperto di essere dotate di piattaforme che consentono di fare lezioni a distanza o che sul web esiste una quantità di lezioni registrate, a volte di qualità didattica eccellente: gli strumenti per fare tutto ciò esistevano da tempo, ma mancava la volontà di farne uso estensivo. L’epidemia ha prodotto uno shock. Occorrerebbe seguire, incoraggiare, valorizzare questo processo: può essere un’occasione per riqualificare anche il personale docente.

Il comportamento esemplare di medici, paramedici e infermieri ha riscosso la generale ammirazione e potrebbe essere un esempio per tutto il pubblico impiego: perché non ipotizzare formazione a tappeto per tutti i dipendenti pubblici costretti a casa? Perché non invitare tutti, non solo i ragazzi, ma adulti, piccoli imprenditori, artigiani, ad avvalersi delle vaste risorse esistenti di formazione permanente? Perché non riesaminare una quantità di progetti sulla informatizzazione della P.A., della giustizia, del sistema sanitario, etc.?

Gli stessi ragionamenti valgono per la politica industriale.

 

Non sprechiamo questa crisi

Si aprono quindi due scenari: in uno riprendiamo il sentiero passato e ci avviamo ad una serie di default come l’Argentina, un’altro in cui, presi da un soprassalto di orgoglio, cerchiamo di studiare, meditare, selezionare e amplificare deliberatamente i fenomeni spontanei che si sono prodotti per reazione all’epidemia, orientandoli al cambiamento di sentiero, a recuperare il distacco che si è prodotto tra i nostri fondamentali e quelli dell’Europa.

Per citare ancora Stiglitz, in una recente intervista a Repubblica: “Sulla crisi del 2008 si diceva: ‘evitiamo di sprecarla’. Però poi l’abbiamo sprecata: non abbiamo imparato la lezione”.

Lo shock dell’epidemia può uccidere il drago della path-dependence; non sprechiamo questa crisi.

 

 

 

[1]   https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-response-specialre/special-report-italy-and-south-korea-virus-outbreaks-reveal-disparity-in-deaths-and-tactics-idUSKBN20Z27P

[2]   “How Korea trounced U.S. in race to test people for coronavirus”, https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-testing-specialrep/special-report-how-korea-trounced-u-s-in-race-to-test-people-for-coronavirus-idUSKBN2153BW

[3]   Joseph E. Stiglitz e Bruce C. Greenwald, “Creating a Learning Society: A New Approach to Growth, Development, and Social Progress: Reader’s Edition” Columbia Univ Press 2015

[4]   Ignazio Visco, “Investire in conoscenza – Crescita economica e competenze per il XXI secolo”, Il Mulino, 2009

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