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Subalterno al M5s: il Pd non è più quello del Lingotto

Marco Campione mercoledì 8 Dicembre 2021
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di Marco Campione*

 

Sul Riformista di giovedì è stata pubblicata un’intervista a Enrico Morando (poi ripubblicata qui sul sito di Libertà Eguale) nella quale sostiene cose per lo più condivisibili. L’intervista però secondo me è viziata da un equivoco di fondo che sta proprio nella prima risposta.

Morando fa discendere tutto il suo ragionamento da questa premessa: «Se io fossi convinto che la cultura liberaldemocratica e liberalsocialista non fosse una componente fondamentale della cultura politica del Pd, non farei parte di questo partito».

Io sono uscito dal Partito democratico più di tre anni fa (molto prima di Matteo Renzi e Carlo Calenda, quindi) proprio perché ho smesso di credere che quelle culture possano essere qualcosa di più di una foglia di fico per un Partito democratico che non ha più nulla a che spartire con il progetto del Lingotto.

Quindi da tre anni e mezzo il tema per me è: cosa deve succedere perché anche Morando, e chi si riconosce con onestà intellettuale nel Partito democratico di Veltroni, prendano atto che quel partito è morto e sepolto?

A proposito, mi scuseranno gli amici del Partito democratico se oso nominare l’innominabile: il Partito democratico di Veltroni e di Renzi. Infatti il partito di Renzi era la concreta realizzazione del partito disegnato al Lingotto e il suo programma di governo la concreta realizzazione di buona parte di quella piattaforma, ibridata con le proposte emerse nei primi anni di Leopolda. Non a caso Morando e gran parte del gruppo dirigente di Libertà Eguale sono stati i protagonisti di entrambe le stagioni.

Se si vuole possiamo metterla così: se pensassi che il Partito democratico non fosse irrecuperabile sarei ancora un iscritto al Partito democratico, o almeno un elettore. Molti amici riformisti rimasti nel partito la pensano diversamente e do per scontata la loro buona fede, ma mi piacerebbe che accettassero di confrontarsi “ad armi pari” con chi è fuori.

Armi pari ovviamente significa che anche io debba fare la mia parte e dirvi il mio “cosa deve accadere perché riconosca di avere torto”. Lo riconoscerò quando il Partito democratico abbandonerà l’idea di allearsi con i Cinquestelle: di allearsi alle elezioni, dopo le elezioni con questa Costituzione vale tutto, non sono mica grillino che non lo riconosco.

Per non scadere nel politicismo potremmo dirla anche così: cambierò idea sul Partito democratico quando smetterà di difendere l’indifendibile: dal reddito di cittadinanza per come è stato realizzato alla mediazione al ribasso sulla giustizia dopo aver fatto melina per difendere Bonafede fino a quando è stato ministro, passando per le sanatorie e le assunzioni ope legis nella scuola, per fare alcuni esempi.

Mi sembra evidente che al momento i riformisti rimasti nel Partito democratico pensino che qualunque cosa succeda loro continueranno a restarci. È un peccato, perché gli elettori non ragionano così.

 

*Articolo pubblicato su Linkiesta il 3 dicembre 2021

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