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di Federica Roccisano

 

 

In questi giorni è diventato di gran moda parlare di equilibrio tra generazioni e di patto generazionale. Il tema spesso è legato alla spesa, al peso del debito pubblico che grava sui nuovi nati e graverà ancor di più sui futuri, alle diseguaglianze di opportunità tra i giovani di oggi e quelli di ieri, e al tema delle pensioni che sembra immaginifico per i giovani che si sono affacciati da poco nel mercato del lavoro.

 

L’equità tra le generazioni

Chi studia queste tematiche da anni, come chi prova a inserirle nell’agenda politica, spesso e volentieri si è sentito rispondere con la classica frase sui possibili errori nelle previsioni di spesa, o, nella versione più cinica in assoluto, è stato argomentato considerando che gli elettori giovani sono meno numerosi di quelli anziani e, soprattutto, che le future generazioni, non esistendo, non impattando sul voto.

Tuttavia, proprio in questi giorni, abbiamo difronte ai nostri occhi due casi di scelte di spesa che condizionano le giovanissime generazioni e che influenzano lo sviluppo dei territori in cui quelle giovanissime generazioni vivono. Sono due casi estremamente lontani tra loro, ma che dovrebbero farci capire quanto è importante spostare il centro dell’azione politica verso una maggiore attenzione al futuro dei piccoli.

 

Il caso Lodi

Il primo, arriva da Lodi e ha mosso le coscienze di molti. Chi, infatti, vedendo il video dei bambini stranieri esonerati dalla mensa non ha avuto un po’ di vergogna? A Lodi, per chi non conoscesse la vicenda, una Sindaca (leghista) ha deciso di richiedere ai genitori dei bambini extracomunitari che frequentano le scuole in città, di produrre un documento che certificasse la loro situazione economica non in Italia, dove evidentemente risiedono, ma nel Paese di origine.

In caso contrario, ai bambini verrà imputata la spesa massima prevista per il sevizio mensa. Non è difficile comprendere che nei Paesi in Via di Sviluppo (Nord Africa, America Latina) non è facile reperire questi dati. Tant’è che i bambini, stranieri, si trovano oggi, nell’ora del pasto, quella tanto cara al Maestro Aristotele per il suo potere conviviale, emarginati in un aula dove consumare il proprio panino. Bene, questo primo esempio unisce il potere della “cassa”, con scelte politiche (populiste?) che alzano i muri e vorrebbero disincentivare, è evidente, l’inclusione dei bambini stranieri nelle aule.

Eppure, basterebbe fare due conti e realizzare che senza quei 200 studenti stranieri, quell’istituto comprensivo avrebbe almeno 10 classi di meno e almeno 10 insegnanti in meno lavorerebbero in quella scuola…

 

Le scuole dell’Aspromonte

Questo tema ci porta al secondo caso, quello delle scuole dell’Aspromonte, dove il numero dei bambini iscritti è così basso da aver dovuto chiudere le scuole. Anche qui, le scelte politiche hanno un peso e determinano il futuro del territorio. Non investire su alcuni luoghi, peraltro bellissimi, porta l’impoverimento del capitale umano prima ancora che di quello finanziario. E in Calabria, il tema della povertà educativa dovrebbe essere considerato primario, tanto da indurre chi di dovere a prevedere situazioni critiche e di esclusione sociale e ad attivare ogni strumento possibile che anche l’industria 4.0 e la diffusione dei mezzi multimediali favoriscono nel 2018. Tenere aperta una scuola, anche solo una classe, significa agire nel presente, coltivando cultura e favorendo l’occupazione dei docenti; ma significa anche agire nel futuro, per evitare un ulteriore spopolamento delle aree interne e soprattutto garantire un futuro agli adulti di domani.

Per questo il tema dell’equità tra le generazioni non è solo legato ad un algoritmo finanziario. Tutt’altro, è legato agli occhi dei bambini di oggi, alle loro speranze future e alla necessità che i decisori politici capiscano l’importanza del futuro di quei bambini, e di quelli che verranno, per le comunità locali e per il Paese intero.

 

 

 

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