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Non è colpa della stampa né tantomeno di Gentiloni se abbiamo perso le elezioni del 4 marzo. E non è neanche colpa di Renzi, anche se da segretario si deve prendere la responsabilità del risultato.

 

L’Italia, il paese che è cresciuto meno

Le ragioni vengono da lontano: al netto dell’ondata sovranista del continente, l’Italia è il paese sviluppato che è cresciuto meno nell’ultimo ventennio. Il reddito pro capite medio del 2018 è pari a quello del 1999, ben 9 punti percentuali sotto quello raggiunto nel 2008, con la media che nasconde il fatto che per molti il tenore di vita sia di gran lunga inferiore a quello del 1999. Visto in questa prospettiva non meraviglia la torsione populista delle ultime elezioni. Piuttosto bisognerebbe porre con forza il problema in Europa.

 

UE: serve una politica di bilancio comune

L’Unione Europea è un’unione politica prima ancora che di regole e difficilmente può tollerare un cambiamento relativo di posizione tra paesi europei di questa portata. Per questo il discorso sull’austerità è mal posto: più che spendere di più bisogna chiedere all’Europa una politica di bilancio comune.

Del resto l’Italia dal 2008 ha seguito in maniera rigorosa le indicazioni europee: saranno servite a limitare la crescita del debito, ma non sono servite a rilanciare la crescita. Ora noi ci troviamo nel 2018 con un paese in cui le persone non conoscono i numeri del debito e del deficit, e spesso non sanno neppure di che si tratta, ma capiscono che il loro tenore di vita è uguale a quello di vent’anni fa e inferiore a quello del 2008.

 

Bisogna cambiare narrazione

E qui veniamo al tema: che identità può avere il Pd per non parlare di futuro senza fossilizzarsi sul passato? Gli ultimi quattro anni di crescita non bastano a cancellare i quindici anni di crescita piatta che li hanno preceduti, in un paese che in 10 anni ha perso il 20 per cento della sua produzione industriale. Credo che la narrazione più adatta per il futuro sia quella che prenda atto che gli ultimi anni sono solo un “blip” in un quadro ventennale di ristagno. Bisogna cambiare narrazione. Presentare agli italiani le future iniziative, e le critiche alle decisioni del governo, in termini di riduzione delle diseguaglianze.

Il paradosso è che molte delle cose che abbiamo fatto in questi anni sono inquadrabili come misure per ridurre la disuguaglianza, ma non sono state raccontate così.

  1. Il vituperato Jobs Act è la prima di queste. Mentre il pil procapite scendeva del 9 per cento dal 2008 al 2018, oggi l’occupazione è al massimo storico. E’ vero che molti sono contratti part time, ma cosa è questa se non una grande operazione di uguaglianza? In tutto il mondo l’occupazione segue il pil, e se così fosse avvenuto anche in Italia, l’occupazione sarebbe del 9 per cento inferiore rispetto al 2008, invece abbiamo oggi il massimo storico dell’occupazione.
  2. Il secondo esempio sono i vituperati 80 euro. Il loro effetto si è visto nella riduzione delle misure statistiche della diseguaglianza: gli 80 euro sono una misura di riduzione delle disuguaglianze perché incrementano il reddito in maniera permanente di 10 milioni di persone sotto i 26.000 euro di reddito annui.
  3. Tutte le misure sulle pensioni di questi anni hanno avuto un impatto redistributivo assai incisivo, dalle salvaguardie all’ape sociale: 70.000 su 300.000 pensionati nel solo 2017 sono andati in pensione prima del termine della Fornero. Un’operazione redistributiva di grande impatto che bisogna difendere dalla controriforma annunciata di quota 100 e 41 anni di contributi ( una distribuzione al contrario, togliere ai più poveri per dare ai più ricchi).
  4. Infine, il reddito di inclusione.

 

Nel futuro c’è la riduzione delle diseguaglianze

Penso che oggi il Pd debba parlare di diseguaglianze, non come reazione al periodo renziano, ma perché il paese è in stagnazione da 20 anni. Ci sono molti modi per farlo. C’è un modo stupido che nega quello che abbiamo fatto in questi anni. C’è un modo intelligente che è rimettersi a parlare con le parti sociali.

Per quanto riguarda le misure da prendere:

  • si possono ridurre le tasse sul lavoro e alzare di nuovo le tasse sul patrimonio o al limite anche l’iva a patto che l’effetto sui più deboli sia positivo;
  • si può combattere l’evasione e i condoni che verranno;
  • si possono restringere i benefits del welfare aziendale a patto che si alzino i salari di produttività;
  • si può infine chiedere un contributo di solidarietà alle pensioni alte;
  • si può fare una grande campagna di orgoglio del valore dell’amministrazione pubblica prima di gestire la nuova ondata di assunzioni, che sta già avvenendo, in modo che i prossimi vent’anni siamo meglio che i venti anni passati.

 

Articolo pubblicato il 15 luglio 2018 su Il Foglio

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