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17 febbraio, il senso dei Valdesi per l’Italia e per l’Europa

Danilo Di Matteo sabato 17 Febbraio 2024
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di Danilo Di Matteo

Il 17 febbraio 1848 Carlo Alberto di Savoia concedeva ai valdesi e, poco dopo, agli ebrei le Lettere patenti: era il riconoscimento dei loro diritti civili e di alcuni dei diritti politici. E l’insieme del piccolo mondo evangelico italiano fa di tale anniversario la Festa della libertà, promuovendo discussioni, libri e incontri, in particolare, sulla libertà religiosa, dalla quale, storicamente, sono scaturite le altre espressioni di libertà. A ciò viene associato il ricordo della morte di Giordano Bruno, bruciato sul rogo il 17 febbraio del 1600. E viene evocata anche la vicenda di fra Dolcino e Margherita, mutilati e arsi vivi a Vercelli nel 1307.

Il discorso sulla libertà religiosa, pur cruciale, è tuttavia difficile da proporre, oggi, essendo forte la credenza che sia già largamente diffusa, da noi (e anzi si porrebbe il problema di regolare il comportamento di organizzazioni e gruppi, per lo più definiti genericamente “sette”, non di rado irrispettosi della dignità e delle possibilità di autodeterminazione dei loro membri). Da qui la mia considerazione di un’altra dimensione del 17 febbraio e della stessa libertà religiosa, naturalmente: l’essere minoranza. Essere minoranza in contesti, quelli occidentali, soprattutto, nei quali tutti, a livello religioso come a livello politico, sono in minoranza. Nei quali, dunque, il confronto è fra piccole e grandi minoranze. Nel mondo cattolico, ad esempio, da tempo, al di là delle statistiche, vi è la percezione, anche in Paesi come il nostro, di essere una minoranza, pur se una minoranza consistente. E, a dispetto della secolarizzazione tanto pervasiva, gli stessi atei e gli agnostici rappresentano delle minoranze, forse medio-piccole.

A proposito di numeri, con ammirazione e non senza tenerezza ho letto un passo del saggio del pastore e storico del cristianesimo Paolo Ricca, già docente alla Facoltà valdese di Teologia, all’interno di un volume curato da Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi: “… Il secondo documento importante è l’‘Accordo di Porvoo’ del 1992 e riguarda le chiese anglicane di Gran Bretagna e d’Irlanda da un lato, e le chiese luterane dell’Europa del Nord (Scandinavia, Islanda, Groenlandia) e dell’Est (Estonia, Lettonia, Lituania): sono tutte chiese a costituzione episcopale”. La mia ammirazione viene dal fatto che l’autore non trascura neppure le poche migliaia di groenlandesi. Ecco, l’attenzione alle piccole comunità, in un mondo che guarda quasi solo ai grandi numeri. Un aspetto della sensibilità protestante che mi affascina da sempre. Il mondo cattolico, certo, è assai articolato e composito e neppure in esso mancano coloro che porgono occhio e orecchio “ai pochi”. Indubbiamente, però, lì tende a prevalere il richiamo delle folle, per dir così (si guardi a eventi come la Giornata mondiale della gioventù o lo stesso “Anno santo”). Quali le radici di tale tendenza? Ne indica una il capitolo di un libro – Le filosofie del Rinascimento, di Cesare Vasoli – scritto da Jean-Robert Armogathe (che pure sottolinea con forza l’emergere, nel quadro della “riforma cattolica” del XVI e XVII secolo, del soggetto, dell’io, inteso in senso moderno): “Infine, un’intensa socializzazione permette di bloccare le infiltrazioni eretiche: movimenti di folle nei pellegrinaggi, le missioni diocesane, le grandi feste, giorni non lavorativi, dove la celebrazione spettacolare dei riti salda la popolazione a condizioni di vita spesso difficili”. La “folla” come antidoto all’insinuarsi nel popolo minuto di tentazioni o gruppetti ereticali.

E se oggi, consapevoli di rappresentare tutte e tutti delle minoranze, più o meno esigue, più o meno numerose, più o meno in crescita o in declino, riscoprissimo così il senso, per l’Italia e per l’Europa, del 17 febbraio?

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