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Al Parlamento i presidenti più estremi. Ma le istituzioni sono più forti di tutto

Vittorio Ferla domenica 16 Ottobre 2022
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di Vittorio Ferla

 

Con l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato e di Lorenzo Fontana a quella della Camera, il parlamento della 18^ legislatura appare quello più a destra della storia d’Italia. Nulla di inatteso: il risultato elettorale è stato netto.

Qualcosa di nuovo tuttavia è successo negli ultimi anni: il progressivo rafforzamento dei partiti più estremi. La fase dell’alternanza, durata dal 1994 al 2011, è stata caratterizzata dal protagonismo di Forza Italia come perno centrale delle coalizioni di centrodestra. Il partito di Silvio Berlusconi, membro del Partito popolare europeo nonché erede (molto alla lontana) della vecchia Dc, ha svolto la funzione di collettore di due opposti estremismi: quello secessionista e nordista della Lega Nord e quello postfascista e sudista di Alleanza Nazionale.

L’ultimo decennio ha visto una alterazione di questo equilibrio. Da un lato, Forza Italia ha imboccato la via del declino in osmosi con il suo fondatore e patrono. Dall’altro, i due partner minori hanno cominciato a giocare una partita più ambiziosa, cavalcando la radicalizzazione del populismo in proiezione nazionale. Nella legislatura scorsa, il protagonista principale è stato Salvini: il progetto della Lega come destra nazionale si è fondato su un sovranismo illiberale, sostenuto dall’integralismo cattolico omofobo e dalle frontiere simboliche contro l’ingresso di nuovi immigrati. Adesso i ruoli si sono invertiti: dopo il fallimento del velleitarismo salviniano, sarà Giorgia Meloni la protagonista di questa legislatura. La ricetta di fondo – a partire dalla difesa della famiglia tradizionale e dei confini nazionali – non è molto diversa, ma la sensazione è che Meloni farà tesoro degli errori del suo alleato-antagonista, proponendo un conservatorismo più moderno e, soprattutto, digeribile a livello europeo.

Nel frattempo, però, alla presidenza delle camere sono finite due figure che rappresentano plasticamente l’estremismo di destra più logoro e sgrammaticato. Ignazio La Russa è un fascista della prima ora, nutrito di devozione al duce fin dalla più tenera età: il padre Antonino nel 1938 era il segretario politico del Partito nazionale fascista di Paternò, un paese agricolo della provincia di Catania, e poi è stato senatore del Msi dal 1972 al 1987. Ignazio ha vissuto in prima persona a Milano la stagione dei movimenti studenteschi, maturando la sensazione dell’isolamento al quale i giovani fascisti erano costretti in quegli anni. La sua lunga carriera parlamentare è stata segnata da una fedeltà inossidabile all’ideologia fascista e da una continuità di militanza che lo ha portato ad essere uno dei tre fondatori di Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni e Guido Crosetto nel 2011. Per lui la conquista della seconda carica dello stato è un traguardo storico: per la prima volta nella storia repubblicana un postfascista dichiarato fa il presidente del Senato. L’eredità potente di quella storia è venuta fuori durante il discorso di insediamento con il tributo sentimentale a Pinuccio Tatarella e ai giovani militanti uccisi negli anni degli omicidi ideologici. Evidente anche il tributo di riconoscenza che Meloni gli doveva.

Lorenzo Fontana è un profilo completamente diverso. La sua cultura politica affonda le radici nell’integralismo cattolico veneto in un mix di idee ultraconservatrici e oscurantiste. Fontana è contrario a tutto ciò che caratterizza la cultura liberale europea contemporanea: no al riconoscimento dei diritti delle persone Lgbt, no alle unioni civili e al matrimonio tra persone dello stesso sesso, no alle famiglie omogenitoriali, no all’aborto (considerato “la prima causa di femminicidio nel mondo”), no all’accoglienza degli immigrati. Convinto che la teoria gender esista e che sia addirittura insegnata nelle scuole italiane, Fontana sembra il rappresentante più corrivo dell’orbanismo italiano. A tutto ciò si aggiunga l’ammirazione per il dispotismo di Vladimir Putin, considerato il punto di “riferimento per chi crede in un modello identitario di società”. Fontana è stato un fiero oppositore delle sanzioni comminate alla Russia a seguito dell’invasione del Donbass e della Crimea nel 2014. Proprio in quell’anno Fontana svolse il ruolo di osservatore elettorale del falso referendum tenuto dai russi in Crimea con l’obiettivo dell’annessione. Da parte sua, nessuna critica nei confronti di una votazione fasulla, imposta da Putin con la forza delle armi, che ha provocato un esito che viola il diritto internazionale. Davvero inquietante immaginare che un tale profilo politico possa governare la Camera dei deputati e rappresentare le istituzioni italiane. Anche in questo caso, d’altra parte, Matteo Salvini doveva dimostrare di essere ancora capace di imporre un suo fedelissimo e, probabilmente, aveva bisogno di una bandiera da sventolare davanti agli occhi del suo elettorato più integralista.

Di fronte a questi due personaggi, l’Italia dovrà temere per la sua tenuta democratica? La risposta è: assolutamente no.

Le istituzioni repubblicane hanno svolto fin qui un ruolo pedagogico. Durante la prima repubblica l’intera classe dirigente comunista, ispirata da una ideologia rivoluzionaria e antisistema che strizzava l’occhio a una superpotenza nucleare antioccidentale, ha imparato nella prassi delle istituzioni l’esercizio della democrazia liberale.

E numerosi passaggi storici complicati sono stati via via digeriti grazie all’equilibrio che promana dalla gestione dei ruoli istituzionali. Nel 1994 il centrodestra irruppe nella politica italiana con la delicatezza dei barbari. Barbara apparve l’elezione di Irene Pivetti, una integralista antesignana di Fontana, alla presidenza della Camera, dopo la stagione di Giorgio Napolitano. A 31 anni, la presidente della Camera più giovane nella storia italiana. Stretta nel ruolo, Pivetti si guardò bene dal creare scandalo. E, semmai, fu lei ad essere travolta dal peso della carica. Negli anni successivi la sua carriera fu variopinta, attraversando le attività più disparate, in totale controtendenza rispetto all’immagine monastica indossata sullo scranno più alto di Montecitorio: lobbista, giornalista, star televisiva, conduttrice di talk, docente universitaria. Chissà? Magari in futuro, anche le convinzioni e la vita di Lorenzo Fontana potrebbero regalarci qualche sorpresa.

E che dire della parabola di Roberto Fico, presidente della Camera uscente? Come i suoi colleghi, l’esponente grillino era entrato in Parlamento con l’idea di aprirlo “come una scatoletta di tonno”. Viceversa, è stato imbrigliato nella funzione così come i suoi predecessori. Alla fine, non solo la scatoletta è rimasta chiusa, ma Fico è stato giubilato dall’applicazione ferrea della regola pentastellata del limite dei due mandati.

Insomma, le istituzioni repubblicane sono solide e non c’è alcun dubbio che resisteranno anche al passaggio di La Russa e Fontana. I due neopresidenti hanno già pronunciato discorsi ispirati alla pacificazione e alla moderazione: il ruolo fa la persona. I due precipitati, piuttosto, staranno ben attenti a non commettere errori, per evitare il rischio di figuracce colossali. E il Pd, dall’opposizione, farebbe bene a fare meno drammi sui rischi per la democrazia per cominciare a ricollegarsi alla realtà e a proporre qualche ragionamento sensato e utile.

La vera partita si gioca altrove. I presidenti delle camere svolgono un ruolo di rappresentanza e di gestione dei lavori. Di fatto, non decidono nulla. Il vero volto della destra lo vedremo al governo. Ma vale sempre la pena scommettere sulla forza delle istituzioni.

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