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Coronavirus, meglio niente Parlamento o un Parlamento smart?

Carlo Fusaro domenica 15 Marzo 2020
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di Carlo Fusaro

 

I nostri parlamentari si stanno ammalando di Coronavirus, come tutti in Italia e nel mondo. A ciascuna e ciascuno, auguri! Ma adesso, che fare?

Lanciato da Stefano Ceccanti, dopo il gentlemen agreement delle prime ore per ridurre le presenze rispettando le proporzioni fra i gruppi promosso dal presidente Fico (bene!), è partito il dibattito che ha subito eccitato gli amici giornalisti che si occupano di politica e in particolare di istituzioni.

E naturalmente, com’è ovvio, si sono manifestate opinioni divergenti: sopraccigli inarcati dei preoccupati per le sorti della democrazia in servizio permanente effettivo, ragionevoli dubbi di molti, qualche entusiasmo perfino acritico: come quel parlamentare del M5S che, mi è stato riferito, avrebbe detto, “vedete avevamo ragione noi” con riferimento improvvido alle propensioni grilline per la democrazia via web. Capisco le incertezze, ma non condivido gli “altolà” indignati o le rivendicazioni di inesistenti primogeniture digitali.

Qui non si parla di come mettere da parte o ridimensionare la rappresentanza: qui si parla di come rafforzarla, mettendola in grado di operare in una fase di emergenza. Opporsi e basta sarebbe come dire che le Camere possono riunirsi solo a Roma e non – poniamo – a Napoli in caso di calamità o guerra.

Intanto chiarisco una cosa: anche se è ciò che stimola di più la fantasia giornalistica, qui non si tratta affatto, ripeto: non si tratta affatto, di voto a distanza e basta. Qui si tratta di organizzare modalità telematiche per tenere riunioni e partecipare a discussioni e decisioni: esattamente come fanno migliaia e migliaia di organizzazioni, non da oggi, ma certamente oggi in Italia e nel mondo. Si chiami lavoro agile o smart working, ci siamo capiti. Per questo – pur non avendo obiezioni di principio e pur apprezzando le pragmatiche disposizioni degli “Standing Orders” della camera unica della Nuova Zelanda (dove di norma votano per tutti i soli capigruppo) – non trovo effettivamente praticabile l’ipotesi del voto per delega: non credo che sarebbe cosa costituzionalmente legittima per contrasto evidente con l’art. 67.

Ritengo invece che – previa predisposizione dell’appropriata infrastruttura tecnologica (una cosetta non da poco, ma certo fattibile allo stato dell’arte) – non ci dovrebbero essere ostacoli costituzionali a prevedere riunioni telematiche (certo delle Commissioni ma io direi anche dell’Aula) ove le circostanze lo richiedano e il presidente, sentita la conferenza dei capigruppo, così disponga.

A scanso di equivoci: l’intera riunione avverrebbe in via telematica, con ciascun deputato – da solo – in apposita postazione dotata di telecamera che lo inquadri (a garanzia della personalità e del fatto che è solo), perfettamente in grado di intervenire, vedere ed ascoltare la presidenza, vedere ed ascoltare i colleghi che parlano, con votazioni eventuali da farsi come di consueto solo tramite il pc (ovviamente dato in dotazione dalla Camera a ciascun parlamentare, e collegato con rete dedicata intranet), con trasmissione del tutto via canale televisivo (a garanzia della pubblicità). Anche la presentazione di strumenti previsti dal regolamento potrebbe ovviamente avvenire a distanza, da quella postazione.

Non vedo una sola parola nella Costituzione che dovrebbe impedire questo: certo in Costituzione si parla di “riunioni” di ciascuna e delle due Camere insieme. E certo, non sono così ipocrita da negare che nel suo significato classico “riunione” significa “aggregazione di più persone nello stesso luogo”. Ma non a caso si parla oggi di “riunione telematica”: avviene a distanza, ma grazie alle tecnologie ormai affermatesi da alcune decine di anni (in ultimo con un livello di sofisticazione e efficienza più che soddisfacente), sempre “riunione” è, ancorché realizzata in forme diverse da quelle che impongono di trovarsi nello stesso luogo fisico (ma si è nello stesso luogo digitale).

Se volete saperla tutta, vedo una difficoltà: sarebbe meno facile (ma anche qui non irrealizzabile mediante collegamento ad hoc, aggiuntivo) per ciascun capogruppo o parlamentare segretario d’aula del gruppo di impartire le opportune indicazioni ai colleghi: del resto si tratta di elemento di fatto e non di diritto, rilevante, ma non giuridicamente, al fine del reale funzionamento delle assemblee.

Va da sé che si tratterebbe anche di predisporre le necessarie previsioni integrative regolamentari, che andrebbero varate nel rispetto della Costituzione e dei regolamenti vigenti: con una riunione necessariamente in persona. E inoltre devo riconoscere che lo sforzo finanziario e operativo non sarebbe all’inizio da poco: e che si potrebbe ragionevolmente obiettare che predisporre circa 1000 postazioni per riunioni telematiche alla vigilia di un comunque probabile ridimensionamento del 40% circa del numero dei parlamentari sarebbe un investimento poco saggio…

Il problema è che il Coronavirus c’è ora, c’è oggi. Ed è ora che le nostre Camere devono mostrare di sostenere il paese continuando a funzionare nelle difficili condizioni in cui esse, come noi tutti, si sono venute a trovare. Ecco perché bisognerebbe pensarci seriamente: proprio a difesa del Parlamento e del suo ruolo. E proprio per non lasciare tutto nelle mani dell’esecutivo.

Per cui, almeno per un paio di commissioni (o meglio per una commissione speciale Crisi Coronavirus per ciascuna Camera) varrebbe la pena di fare uno sforzo.

Sono sicuro che gli italiani capirebbero, apprezzerebbero e per una volta si sentirebbero un po’ più vicini ai loro rappresentanti.

 

 

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