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Friuli Venezia Giulia: la sconfitta dei Cinquestelle

Marco Campione lunedì 30 Aprile 2018
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di Marco Campione

 

 

Dico la mia sul voto di ieri in Friuli Venezia Giulia.

 

1) Ovviamente non ha senso ricavare dal voto di una regione (manco fosse la più grande, e non è questo il caso) un senso politico nazionale. Ha invece senso interpretare politicamente anche un voto come questo. In sintesi: il dato politico c’è, ma renderlo assoluto non ha senso.

 

2) Gli unici dati comparabili sono quelli del voto alla parte uninominale della Camera e quelli al Presidente di Regione. Ovviamente non quelli del Senato (non votano tutti i maggiorenni), ovviamente non quelli del proporzionale per la presenza di liste civiche e per la possibilità di votare solo il presidente. Due elementi, questi sì, che hanno scarsissima valenza politica nazionale.

 

3) Gli unici dati che ha senso paragonare sono i voti assoluti. Chi paragona le percentuali è un dilettante. Oppure un professionista, ma della malafede.

 

4) C’erano solo 4 candidati presidente alle regionali e molte più coalizioni alle politiche. Una sola coalizione ha cambiato configurazione: il centrosinistra infatti era separato alle politiche, ma unito alle regionali.

 

5) I numeri. A differenza del Molise, ieri l’affluenza è stata molto più bassa di due mesi fa alle politiche: hanno votato 150.000 elettori in meno, con una affluenza che è stata però in linea con le regionali di cinque anni fa. Nonostante la diminuzione degli elettori il Centrodestra ha guadagnato circa 11.000 voti. Il Centrosinistra unito ha perso 37.000 voti rispetto alla somma Centrosinistra + LeU (un calo in linea con la riduzione dell’affluenza). Il M5S ha perso più di 100.000 voti.

 

6) Centomila voti in un paio di mesi… Come vediamo siamo di fronte ad una contrazione di Cinquestelle molto significativa. E non è imputabile solo alla tradizionale “fatica” del MoVimento nelle amministrative, perché perdono 40.000 voti anche rispetto alle regionali precedenti. Ovviamente è il principale sconfitto (in termini di consenso elettorale l’unico sconfitto) di queste elezioni friulane. In termini di governo della regione -ci torno poi- l’altro sconfitto è ovviamente il centrosinistra.

 

7) L’unione del Centrosinistra non porta alcun giovamento in termini di competitività elettorale. Dal punto di vista del consenso elettorale, la perdita è in linea con il calo dei votanti. Rilevante invece il dato rispetto a cinque anni fa: perdere quasi 70.000 voti dopo aver governato cinque anni è un giudizio inequivocabile sul tuo operato. Si capisce perché la Presidente uscente non abbia voluto provare a riconquistare la regione che conquistò per soli 2000 voti di differenza nel 2013.

 

8) Il Centrodestra ottiene un risultato eccezionale. Guadagnare voti quando l’affluenza diminuisce così tanto è un segnale inequivocabile. All’interno della coalizione i rapporti di forza tra Lega e Forza Italia mutano leggermente a favore del partito di Salvini. Come ho detto sopra, non ha senso paragonare i voti assoluti tra i partiti perché molti elettori hanno votato solo il Presidente, ma un dato comparabile c’è: il rapporto tra i voti della Lega e quelli del suo alleato. Bene, alle politiche per ogni voto a Forza Italia ne sono andati 2,42 alla Lega, alle regionali 2,89.

 

9) Al di là dell’”errore” della Serracchiani di non ripresentarsi, il dato del centrodestra nel 2018 (politiche e regionali) spiega anche perché vincemmo cinque anni fa: gli elettori del centrodestra allora sono rimasti a casa più che scegliere il centrosinistra o i grillini.

 

10) Anche questo voto, dopo quello del Molise, conferma che Salvini non ha alcun interesse a rompere con Berlusconi. E prima il Centrosinistra la pianta di ragionare con i desiderata e comincia ad usare la lente della politica, prima prende atto che in questa Legislatura c’è un solo governo possibile: quello che parte da chi ha vinto, quindi quello che parte dal Centrodestra unito. Non c’è spazio per un Cinquestelle-Lega come auspicano alcuni “renziani” e non c’è spazio per un Cinquestelle-Pd come auspicano alcuni “non-renziani”.

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