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Il capo dello stato è l’àncora del nostro euro-atlantismo. Per questo serve Draghi al Colle

Alessandro Maran giovedì 23 Dicembre 2021
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di Alessandro Maran*

In un mondo in cui le minacce al sistema liberale non sono morte con Trump, il Quirinale assume un valore ancora maggiore. Appunti per Pd e centrodestra

Da Pertini in poi, la presidenza della Repubblica è lunica istituzione davvero popolare, resta la più longeva e gode di poteri (molto dilatati negli ultimi decenni) in grado di sovrastare ogni altro potere, al punto che il presidente, come nella Costituzione della Quinta Repubblica francese, emerge ormai come giudice supremo dellinteresse nazionale”. Da quella posizione, inoltre, come nel gioco degli scacchi, è possibile controllare il ritmo e la direzione della partita. Non per caso, il controllo della più importante casella della scacchiera è un punto fondamentale della strategia del Pd per romanizzare i barbari (il metodo Franceschini” di cui ho parlato qualche tempo fa: Ecco i barbari romanizzati”, il Foglio del 12 luglio 2020).

Non c’è da stupirsi che il Quirinale sia, perciò, la preda più ambita: in ballo ci sono parecchie cose. Proviamo a ricapitolare. Tre anni fa (tre anni fa, non trentanni fa) la stragrande maggioranza degli italiani ha votato formazioni politiche che volevano mettere in discussione la permanenza dellItalia nelleuro e nella Nato. Secondo Steve Bannon, lo stratega che aveva portato Donald Trump alla Casa Bianca, le elezioni del 4 marzo 2018 avevano addirittura trasformato lItalia nel centro del mondo in rivolta”. Oggi quelle stesse formazioni politiche (e, a quanto pare, la stragrande maggioranza degli italiani) sostengono un governo esplicitamente europeista e atlantico. La spettacolare conversione liberale ed europeista di Di Maio è forse il simbolo più eloquente della giravolta compiuta dai peronisti di casa nostra. Che cosa è successo? In tanti, come dabitudine, ripeteranno le solite sciocchezze anti casta: anche i nuovi arrivati non vogliono mollare le poltrone, le auto blu, ecc. Ma la verità è che i professionisti della ribellione contro i vincoli” del governare si sono scontrati con la realtà. E non si tratta solo dei vincoli europei, dello stato di diritto, del bilancio pubblico. Il fatto è che abbandonare quellordine mondiale che ci ha consentito lo straordinario sviluppo del Dopoguerra non è possibile. O meglio, si può ma il prezzo da pagare sarebbe altissimo. Per dirla terra terra, per cambiare le alleanze che derivano dalla Seconda Guerra Mondiale bisogna fare una guerra. Certo, Trump aveva offerto una sponda ai populisti. Bannon ha spinto addirittura per la formazione di una sorta di internazionale nazional-sovranista (con la benedizione e i fondi dei russi) che doveva difendere i valori autentici” delloccidente e dunque scardinare lEuropa, restituire sovranità agli stati, tornare ai confini, sbarrare la strada allimmigrazione e sconfiggere lislam radicale. Ma il suo piano è andato in fumo e Trump (per ora) ce lo siamo levato dai piedi.

Il fatto è che rovesciare lordine liberale non è così facile. Certo, grazie agli incredibili progressi che abbiamo registrato da quando quellordine si è imposto, siamo arrivati a considerare la pace, la sicurezza, la democrazia, il benessere come se fossero cose normali: la mera conseguenza dellevoluzione del genere umano. E abbiamo perso di vista quanto questordine internazionale sia costato, i mali a cui ci ha sottratto e ci sottrae e, come ricordava Bob Kagan, quale atto di sfida alla storia e persino alla natura umana” abbia rappresentato. Eppure, non sarebbe male ricordare che lantifascismo (come hanno rimarcato, ad esempio, Beppe Vacca e Franco De Felice) non ha riguardato solo la storia dItalia ma, appunto, i caratteri del nuovo ordine mondiale generato dalla guerra. Ciò che rese possibile la formazione della coalizione antifascista (con liniziativa di Roosevelt di gettare tutto il peso dellAmerica nel conflitto, di allacciare una alleanza con lUrss, di tracciare nella Carta atlantica una prospettiva nuova, una volta eliminati nazismo e fascismo, per i paesi europei e per il mondo nel Dopoguerra) non fu solo la minaccia del dominio hitleriano, ma anche la convinzione che, con la sconfitta del fascismo, si potesse instaurare un ordine internazionale fondato sullinterdipendenza economica e su relazioni politiche multilaterali; la convinzione che questo avrebbe consentito di diffondere la crescita economica, ma anche di favorire, a livello nazionale, la combinazione di sviluppo e democrazia. Il programma dellantifascismo mirava, insomma, a generalizzare le esperienze riformistiche degli anni 30 (il New Deal negli Stati Uniti, i primi governi socialdemocratici in Inghilterra, Svezia, Belgio, ecc.) e a ridisegnare gli assetti mondiali secondo il principio dellinterdipendenza; e questo programma in occidente favorì lintreccio fra sviluppo dei consumi e crescita della democrazia e generò la costruzione dellUnione europea, un disegno e una strategia alternativi a quella di Versailles, il trattato che pose ufficialmente fine alla Prima Guerra Mondiale. La filosofia di Versailles era semplice: se metti il nemico di ieri ai tuoi piedi e gli impedisci di svilupparsi militarmente (col disarmo forzato) ed economicamente (con le sanzioni punitive), questo non sarà più una minaccia. Ma quel disegno fallì e aiutò, in Germania, il nazionalsocialismo a mobilitare lopinione pubblica in suo favore. Lo spirito del progetto di integrazione europea non è perciò quello di mettere il nemico di ieri (i tedeschi e poi, dopo il crollo del Muro di Berlino, i paesi ex comunisti) ai nostri piedi, ma quello di stringerlo a noi con tanto calore che ogni guerra diventi non solo impensabile, ma di fatto impossibile”. E in questo disegno, la guerra sarebbe stata impensabile e impossibile non perché Francia e Germania avrebbero sottoposto la produzione di carbone e acciaio a unAlta autorità; la guerra sarebbe stata impensabile e impossibile a causa del livello di interdipendenza che si sarebbe creato tra gli stati della nascente comunità.

In un passaggio della bella biografia politica” che Tonia Mastrobuoni ha dedicato ad Angela Merkel, la giornalista racconta delle pressioni sempre più forti che, nella fase più difficile del negoziato europeo sui piani di rilancio post pandemia, arrivarono dalle fabbriche di automobili, il cuore del motore industriale tedesco (uno dei motivi per cui Merkel cederà sul Recovery Fund e sui bond comuni per finanziarlo). Herbert Diess, il potente capo di Volkswagen, e i suoi colleghi di Bmw e Daimler sono costretti – racconta Mastrobuoni – a spiegare alla cancelliera, ad aprile, che le fabbriche tedesche non possono riaprirefinché non verrà sospesa la chiusura amministrativa di quelle italiane. Senza la componentistica che arriva dal Piemonte, dallEmilia o dalla Lombardia, nessuna Mercedes può completare il suo percorso nella catena di montaggio. E Diess si dice pubblicamente favorevole agli eurobond, i titoli comuni per finanziare una ripartenza che altrimenti rischia di morire in culla”. La pandemia, in altre parole, si è rivelata una salvifica lezione su quanto lEuropa sia ormai connessa e interdipendente”.

Va da sé che gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo centrale nella creazione di questo ordine. La loro posizione geografica, la loro ricchezza, il fatto di non doversi preoccupare degli attacchi dei vicini gli hanno permesso di dispiegare in modo permanente le loro truppe allestero, mettendo fine ai conflitti nelle due zone più critiche del mondo: lEuropa e lAsia orientale. Estato questo sforzo a creare le condizioni che hanno permesso si realizzasse quellordine anomalo” nel quale siamo vissuti. E la trasformazione del Giappone e della Germania, che da potenze militari e dispotiche sono diventate potenze economiche pacifiche e democratiche, ha rappresentato forse la rivoluzione più significativa nelle relazioni internazionali (più ancora del confronto tra Stati Uniti e Unione sovietica nel corso della Guerra Fredda).

Sfortunatamente, come sappiamo, gli Stati Uniti si stanno allontanando da quello che finora era stato lobiettivo tradizionale della loro politica estera. Eda tempo che, una dopo laltra, le amministrazioni Usa fanno a gara per rassicurare gli americani che baderanno alla politica interna, occupandosi di politica estera il meno possibile. Il che significa che, per dirla con Angela Merkel, noi europei dobbiamo veramente prendere il nostro destino nelle nostre mani”. E non sarà facile. Ma siamo ancora in grado di ricacciare indietro le spinte illiberali. Finché linterdipendenza (economica, legata alla sicurezza, alla salute, allambiente) continuerà a crescere, le persone e i governi saranno spinti a lavorare insieme per risolvere i problemi e per evitare guai seri. Insomma, per essere decente, lordine mondiale deve essere liberale. Questa è la realtà di oggi, le condizioni storiche con le quali dobbiamo fare i conti. E lItalia è forse il sismografo più sensibile ai cambiamenti del quadro internazionale. Fateci caso: Conte rassegna le dimissioni pochi giorni dopo il giuramento di Joe Biden.

In questo contesto, se il Pd resta il perno del sistema politico italiano, un partito obbligato” a governare non solo quando vince le elezioni, ma anche quando le perde, non è perché la cultura politica liberaldemocratica e liberalsocialista sia naturalmente” quella a cui si ispira la maggioranza dei dem (anzi, a ben guardare, è da un pezzo che lì dentro domina la linea Piketty”). Se il Pd è il partito indispensabile”, lo si deve al fatto che, tra le formazioni di un certo peso, (incredibilmente) è lunico partito occidentale ed euro-atlantico senza se e senza ma. Grazie al Pd (e, va detto, a Renzi), restiamo agganciati (con Gentiloni, Amendola, ecc.) allEuropa, non siamo ancora diventati vassalli della Cina o della Russia e abbiamo allontanato lincubo venezuelano di Di Battista. Ma la garanzia dellancoraggio dellItalia alloccidente, allEuropa e a quellordine mondiale che nel Dopoguerra ha permesso, come ha ricordato Mattarella, di aprire la porta della modernità non solo alle classi dirigenti ma anche ai ceti popolari, è rappresentata (e addirittura incarnata) proprio dal presidente della Repubblica (che, non per caso, ha il comando delle Forze Armate e presiede il Consiglio supremo di difesa). Ed è sul Quirinale che poggia il ruolo del Pd, quella funzione” che lo rende indispensabile”.

Specie se si considera che la destra italiana, priva di un forte partito liberal-democratico, è “estranea” a questo legame essenziale. Non per caso, si sta delineando un nuovo fattore K”, una nuova conventio ad excludendum contro il partito (anti europeo e filo russo) di Salvini. Per colpa sua, ovviamente. Come allora, non si tratta di una invenzione discriminatoria. Si tratta di un impedimento reale. E non basta lingresso della Lega nel governo Draghi per traghettare Salvini da Perón a Pera, per dargli, cioè, quella credibilità e quellaffidabilità che ancora non ha. Certo, se la Lega di Matteo Salvini, che ha strappato a Silvio Berlusconi la leadership della destra, dovesse proseguire la marcia di avvicinamento al Ppe, potrebbe diventare il perno di un centrodestra moderato, pienamente legittimato come coalizione di governo. Ma la Lega resiste a questa prospettiva proprio perché il suo appeal si è diffuso più a sud, via via che Salvini, messa la sordina ai temi nordisti” delle origini, ha puntato (emulando altri nazional-populisti) sulle questioni culturali”, enfatizzando cioè la minaccia che viene dallislam e che molti collegano alla crisi dei rifugiati. Per questo, come molti nazionalisti e populisti conservatori, sia negli Stati Uniti sia in Europa, la Lega considera Putin un potenziale alleato proprio per le sue priorità internazionali: smantellare lintegrazione economica globale, combattere la secolarizzazione delle società occidentale, ecc. Ma Putin punta a indebolire il tessuto della società occidentale e la stessa legittimità della democrazia liberale. Sta, insomma, dallaltra parte della barricata e converrebbe tenerlo presente.

Va da sé che non c’è ragione di festeggiare: dato il nuovo fattore K la democrazia dellalternanza resterà una chimera. Ma è proprio labbandono delloccidente” da parte della destra (per citare il titolo di un bel libro di Michael Kimmage, secondo il quale Trump è il primo presidente non-occidentale degli Stati Uniti) che spiega la sua debolezza e il commissariamento” del paese. Salvini può prendere tutti i voti che vuole ma, nell’èra della crescente interdipendenza tra stati, economie e società, non basta. Il che spiega perché, nonostante i populisti abbiano, sulla carta, il pieno controllo del Parlamento, da un anno il paese è governato da un premier senza partito e senza parte politica, sostenuto da una maggioranza pressoché unanime.

In questo contesto, la presidenza della Repubblica resta il legame dellItalia con il mondo al tempo dellinterdipendenza globale, la garanzia che il nostro paese rimanga un pilastro dellAlleanza atlantica e dellUnione europea. E messe così le cose, il centrodestra non ha molte scelte: deve votare Draghi alla presidenza della Repubblica. Visto che non potrà scegliere da solo il nuovo inquilino del Quirinale, deve concorrere allelezione di un presidente che non gli sia ostile e che non sia esclusivamente espressione degli altri”, di quel che rimane dell’“arco costituzionale” della prima Repubblica. Il Pd, invece, potrebbe essere tentato di eleggere un proprio candidato (o un democristiano moderato), proprio per perpetuare la sua funzione indispensabile”. Ma per non esporsi a rischi inutili ed evitare un massacro generale, è probabile (se Mattarella conferma il suo no) che finisca a sua volta per convergere su Mario Draghi. Specie se si considera che per il Pd lelezione di un estraneo” sarebbe esiziale: senza il controllo della più importante casella della scacchiera, la sua strategia e la sua funzione non possono reggere a lungo. Fosse per me, manterrei Mario Draghi alla guida del governo per i prossimi dieci anni. Ma mi rendo conto che, alla fine, la sua elezione è una garanzia per tutti. E i progetti (e i finanziamenti) del Pnrr? E le riforme? Si vedrà. Primum vivere, no?

 

*Il Foglio, 18 dicembre 2021

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