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Il partito che verrà, dopo l’opposizione

Massimo Veltri venerdì 28 Ottobre 2022
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di Massimo Veltri

Il primo governo Berlusconi, quello conseguente allo sdoganamento di Fini e di AN, rimase in carica poco più di otto mesi. Era il 1994 e una maggioranza parlamentare molto ampia non fu sufficiente ad assicurare stabilità e durata al centrodestra. Tecnicamente fu la Lega a provocare la crisi che portò a un esecutivo guidato da Dini che rimase in carica un anno e quattro mesi, politicamente fu l’assoluta incapacità degli uomini di governo ad assicurare una guida al paese.

L’esito delle urne delle elezioni dell’ultimo settembre ci consegnano una larghissima maggioranza di destra, una donna premier per la prima volta, ancora Berlusconi nei banchi dei vincitori: è presumibile che questa volta il governo in carica avrà una durata maggiore di quello di trenta anni fa e i tempi, quindi, sono tali per preparare una possibile alternanza, per allestire piattaforme, partite, politiche all’altezza della sfida. Intanto c’è da esercitare un periodo di contrasto e opposizione, nelle aule e nel paese, e durante questa fase può emergere il profilo di una nuova forza di sinistra, grazie alle idee che si sarà in grado di mettere in campo, ai ceti sociali cui ci si rivolgerà, alla capacità di elaborare progetti. 

Un punto imprescindibile da cui partire, io credo, sarà quello di sciogliere il nodo del partito interclassista, si diceva un tempo, contenitore al suo interno, cioè, di istanze e rappresentanze, culture e sensibilità quali ad esempio il Pci e la Dc, esprimevano. Ce ne erano numerose e sovente non poco contrastanti fra loro, e però  si riusciva a svolgere una sufficiente azione di collante e sintesi per tenerle unite-ovviamente fra tante contraddizioni e altrettante mediazioni- in virtù del fatto che allora era il tempo dei grandi partiti, delle grandi contrapposizioni, delle opposte visioni. Erano, per così dire, idee di società che si confrontavano e-almeno nominalmente-si contrapponevano. 

Schematicamente, si partì dal collettivismo, i ceti operai, gli echi della rivoluzione d’ottobre e delle parole d’ordine giacobine, che poi via via vennero rimodulati lungo decenni fatti di tante conquiste, arretramenti, correzioni di rotta così che si seppero coniugare nuove idee, nuove lotte, all’interno delle società borghesi occidentali, e con accanto impostazioni massimaliste che nonostante tutto persistevano. Dall’altra parte, nella DC, principi di solidarietà, di cristianità sociale, di politiche progressiste coesistevano con posizioni molto conservatrici. Oggi ha senso tutto questo? Si può pensare a partiti-stato, partiti-chiesa, come si diceva fino a non molto tempo fa, a voler sottolineare i forti connotati ideologici, e forse la difficoltà stessa a rimettere in piedi partiti, nuovi o vecchi che siano, risiede proprio in questo: nell’insistere nel far riferimento a idee forti (o solo velleitarie) in presenza di una società liquida. 

Da altra prospettiva, per quanto riguarda il Pd, non è una suggestione effimera o forse semplicemente strumentale quella che suggerisce la cancellazione del Pd e la nascita di una nuova forza a sinistra? Nuova forza che significherebbe, a legger bene il retrotesto di chi vorrebbe un futuro fatto di passato, accomodarsi sul versante di un partito nel quale si sono riconosciuti negli anni partiti e raggruppamenti con gli esiti e dalla storia a tutti noti. 

Certamente serve un punto di riferimento per i segmenti ampi della società fatti dei ceti più deboli, così da dar loro uno sbocco democratico e non abbandonarli alla deriva populista, incanalandoli lungo percorsi democratico- istituzionali, al riparo perciò da tante sirene e soprattutto da indigenze via via crescenti. C’è da chiedersi, e peraltro la domanda non è nuova: quali sono i motivi che hanno finora relegato a margini residuali i movimenti, le forze politiche, i partiti con queste ragioni sociali, che continuano imperterriti a scagliare anatemi nei confronti di chi ‘non è di sinistra’, la sinistra di cui ritengono essere depositari, gli unici. E se la risposta più plausibile appare quella fornita da Conte e i 5Stelle nella loro ultima versione, non cambia granché se si pone l’occhio sul profilo di governo che essi mostrano: le proposte non vanno al di là del rivendicazionismo e dell’assistenzialismo, e i consensi sono frutto della protesta che non è dato sapere quanto durerà e che esiti avrà.

C’è bisogno, invece, di un partito della sinistra che abbia chiari e convinti e condivisi lineamenti di target, che abbandoni l’idea, come si diceva, di partito ‘grande contenitore’ ma che, invece, punti ad avere come elettori privilegiati il mondo delle professioni, i ceti medi produttivi, le espressioni di sensibilità per i temi civili, ambientali, cui finora ha rivolto attenzioni confuse e ambigue, contraddittorie. Attraverso un patto, tutto da scrivere e concordare, con una sinistra, quella sinistra che necessita di rappresentanza e risposte, s’intende, e che oggi ancora è senza alcuna rappresentanza credibile.

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