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Lega-M5S: i perché della svolta (già scritta)

Vittorio Ferla giovedì 10 Maggio 2018
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Salvo clamorosi colpi di scena (non sarebbe strano vista la storia di Berlusconi e M5S), l’accordo tra la Lega e i Cinquestelle sembra ormai cosa fatta.

 

Dal 4 dicembre al 4 marzo

L’esito di queste ore – come abbiamo già scritto altre volte – trova la sua origine nel risultato del 4 dicembre 2016 prima ancora che nel risultato del 4 marzo 2018. In quella occasione, gli italiani hanno respinto il tentativo di riforma costituzionale ed elettorale che avrebbe comportato il rafforzamento della democrazia maggioritaria e la bipolarizzazione del sistema politico italiano. In quella scelta dell’elettorato, il ruolo dei partiti di centrodestra e dei Cinquestelle fu determinante.

Quell’onda critica si è allargata nei mesi successivi fino a tracimare nelle elezioni del 4 marzo scorso, travolgendo l’edificio riformista del centrosinistra. Anche alle elezioni politiche, l’orientamento degli elettori è stato chiaro. La proposta del Partito Democratico è stata sanzionata clamorosamente. Il messaggio politico è stato univoco. La conseguenza, naturale. Dopo 5 anni di governo (ai quali andrebbe aggiunto il sostegno al governo Monti) il Pd viene costretto all’opposizione. Si chiama democrazia dell’alternanza. Ed è un bene che funzioni e che i cittadini possano incarnarla e agirla efficacemente con il proprio voto.

 

Verso un governo populista

In molti si sono impegnati a complicare questo quadro, avanzando l’idea che nel sistema proporzionale tutti i partiti siano ugualmente responsabili per la formazione di un governo. Una vera e propria forzatura che – al di là di ogni possibile alchimia numerica – sembrava non voler prendere sul serio il risultato politico delle elezioni, rispettando la scelta degli elettori. Era evidente che – nonostante lo stalking del sistema dei media sul Pd – il perno del sistema politico emerso dal voto conducesse verso una soluzione naturale: la corresponsabilità di Lega e M5S per la formazione di un governo populista e sovranista, poggiato su due pilastri: il lepenismo leghista e il peronismo grillino.

Ovviamente, c’erano un paio si ostacoli: il sistema proporzionale che garantisce la rappresentatività, ma non la governabilità; gli anni di conflittualità politica che non potevano essere dimenticati dalla sera alla mattina.

Per superare questi ostacoli, nel corso di questi 60 giorni abbiamo assistito ad alcune scene improbabili. La più rilevante, forse, è stata la trovata propagandistica del contratto di governo, studiata per stemperare i toni delle polemiche passate. Al di là della sua inconsistenza argomentativa, lo strumento del contratto è servito, però, per prendere tempo e raffreddare le ostilità.

 

L’impossibile governo Pd-M5S

L’altra scena balzana era quella dell’ipotesi impossibile: il governo Pd-M5S. Qui una cosa bisogna ricordarla, perché, tutto sommato, la politica è una scienza. Un governo politico (ripeto: politico) tra PD e M5S era possibile solo ad una condizione. La condizione era che uno dei due contraenti accettasse di “suicidarsi” (ma esiste, in politica, il suicidio consapevole?). In un caso, il M5S avrebbe dovuto in sostanza ammettere di avere sbagliato tutto o di avere scherzato, in questi cinque anni. Avrebbe dovuto dichiarare, pertanto: la ricreazione è finita e si va tutti in massa a continuare le riforme del centrosinistra. Nell’altro caso, viceversa, il PD avrebbe dovuto accettare la conclusione della sua storia e il fallimento del progetto riformista di questi ultimi anni. E dire, pertanto: si torna ignudi come il figliol prodigo nella casa della ‘vera’ sinistra che, nel frattempo, si è spostata all’indirizzo Casaleggio associati. Poteva andare così? Ovviamente no. E, infatti, dopo aver sceneggiato il classico piscodramma interno intorno alla comparsata di Renzi da Fazio (comparsata che, alla luce di questa semplice regola di sopravvivenza, ha messo in salvo il pd dai suoi stessi dirigenti trattativisti), le cose sono andate come dovevano andare.

 

Il male minore per Berlusconi
A pensarci bene, lo stesso tema dell’istinto di sopravvivenza (o, se preferite, del ‘suicidio’ politico) ritorna per valutare il comportamento di Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia, all’inizio, ha fatto di tutto per evitare l’accordo del Centrodestra con i Cinquestelle (che certamente lo relegava all’angolo). Nelle ultime ore, messo di fronte all’ipotesi di scioglimento delle camere e voto anticipato – minacciata non tanto dalla rampante coppia Salvini-Di Maio quanto piuttosto dalla ben più autorevole voce del Presidente della Repubblica – Berlusconi ha dovuto scegliere il male minore. Spaventato dal rischio di una definitiva frana elettorale, il vecchio leone ha scelto di giocare in un ruolo chiave nel Parlamento appena eletto, lasciando sì campo libero alle due giovani promesse, ma riservandosi una strategia di trincea per i momenti difficili (e, forse, un ruolo di tutor dell’inedita allenza Lega-M5S).

 

La buona prova di Mattarella

Da questa roulette russa esce molto bene Sergio Mattarella, al quale, probabilmente, domani, dovremo rivolgere un sentito ringraziamento per aver governato un passaggio di sistema complicatissimo e per aver istituzionalizzato e integrato due pericolosi populismi.

Il Partito Democratico, per parte sua, può approfittare di un’occasione insperata (e, direi, perfino fortunata): un tempo – che potrebbe diventare lungo -di opposizione, nel corso del quale avviare un serio lavoro di ripensamento e di rigenerazione presidiando, quasi in solitudine, il campo del centrosinistra. Speriamo solanto che questa occasione venga ben sfruttata.

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