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M5S, l’ignoranza come vanto. Ma questo strazio finirà

Luigi Marattin lunedì 27 Agosto 2018
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di Luigi Marattin

 

Negli ultimi anni in Italia si è sdoganata definitivamente l’ignoranza e l’incompetenza. Ciò di cui ci si vergognava (il non conoscere, il non sapere) è diventato un vanto; ciò che costituiva uno svantaggio, è diventato un vantaggio; ciò che costituiva un rischio per la dignità, è diventata una opportunità.

 

M5S: il personale politico più incompetente del mondo occidentale

Il passaggio decisivo è avvenuto con l’avvento di un movimento politico – il M5S – composto, mediamente, dal personale politico più incompetente che il mondo occidentale abbia mai conosciuto. Leaders che – dopo 5 anni di vice-presidenza della Camera, non sanno cos’è la bollinatura della Ragioneria, e hanno serissime lacune di base in storia e geografia; ministre che credono che il Pil cresca perché fa caldo; parlamentari che dopo anni di aula non sanno che il ministro dello sviluppo economico non è il ministro dell’economia; e ancora, sottosegretari che credono che lo sbarco sulla Luna non sia mai avvenuto, chi crede alle sirene, chi pensa che i vaccini facciano male e ci si immunizzi mangiando il terreno. Chi crede che la soluzione ai problemi economici sia semplicemente stampare moneta. E potrei continuare per ore. Per giorni.

Da quando il M5S si è affermato, la santificazione dell’ignoranza ha raggiunto il suo apice. Non manca molto a quando, per insultare qualcuno, lo si definirà “competente!” (già ora lo si definisce “arrogante” pure se – ma non è il mio caso eh! – si esprime con umiltà, pazienza e gentilezza e fa semplicemente notare che 2+2 non fa 5, pure se il 4 marzo il Pd ha perso).

 

In 25 anni abbiamo fallito nella selezione della classe dirigente

Ma la santificazione dell’ignoranza – sdoganata recentemente – viene da lontano. Sono almeno 25 anni che abbiamo prima usurato e poi archiviato i meccanismi di ordinata formazione, selezione e ricambio della classe dirigente; ed è passato molto più tempo (forse 40 anni) da quando abbiamo deteriorato la qualità media di scuola e università, sacrificandole sull’altare dell’ottenimento, remunerazione e mantenimento del consenso sindacale o di gruppi di interesse.

E così, eccoci qua. Con la politica che si affretta a dire “no noi non siamo competenti eh!” (mi colpì’ molto un intervento di un ragazzo del Pd milanese, che in una riunione di circolo post-4 marzo disse “abbiamo fatto l’errore di essere il partito dei competenti!”) e il cinema che, come spesso accade, certifica la deriva: indimenticabile Pietro Sermonti che in “Smetto quando voglio” cerca lavoro cercando a tutti i costi di convincere il datore di lavoro di non essere laureato.

Eppure non può essere questa la fine della storia.

 

La conoscenza rende liberi 

Veniamo da un passato in cui i padri si spaccavano la schiena per far studiare i figli, e avere il primo laureato della famiglia era un’occasione di commozione simile al matrimonio o ad una nascita. Un paese in cui i politici – di tutti gli orientamenti – erano intellettuali, e per parlare del problema del giorno solevano parlare di letteratura. Senza che nessuno li accusasse di essere arroganti o distanti dal Paese reale; venivano, invece, guardati con ammirazione. La sinistra in questo paese predicava il riscatto sociale tramite l’acquisizione di conoscenza, a suon di sacrifici. Il principale strumento di mobilità sociale, allora come ora, è la conoscenza. Che rende liberi, e che – fornendo gli strumenti della consapevolezza – rende fattivo il diritto di cittadinanza.

No, non può essere questa la fine della storia, non in Italia. Può darsi che l’arma giusta non sia mandare a fanculo chi ostenta ignoranza e la rivendica, ma sia altra (ps. Avvisatemi quando la trovate). Ma sia quel che sia, se da questo strazio si uscirà, sarà solo ritornando a quello che questo paese ha saputo essere: il luogo dove si sognava il riscatto, e si costruiva il futuro, facendo si’ che ad ognuno fosse garantito il diritto, il dovere e l’entusiasmo di diventare competente.

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