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Macaluso coordinatore dell’area riformista. Il ricordo di Morando

Enrico Morando mercoledì 6 Ottobre 2021
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di Enrico Morando*

 

Vorrei parlarvi per qualche minuto di Emanuele Macaluso dirigente dei miglioristi del PCI-PDS.

È stato detto e scritto che Emanuele avrebbe terminato di svolgere attività di direzione politica con la svolta dell89. È stato ripetuto anche questa mattina. Ma è unaffermazione priva di fondamento: Macaluso, per tutta la prima metà degli anni 90, fu il coordinatore dellarea riformista del PCI-PDS, cioè di una delle principali correnti interne al partito nato dalle radici del PCI.

Prima, qualche parola sul nostro nome: miglioristi o riformisti? Ci fu una discussione, tra di noi, sulla scelta da compiere. Non è vero, infatti, che il termine miglioristi venne inventato dai nostri avversari interni -la sinistra-, a fini spregiativi: quelli che non volevano cambiare davvero, che si limitavano a mutamenti di contorno, per quanto migliorativi. Ad usare questa espressione per primi furono Veca e Salvati, non certo per disprezzare, ma per apprezzare e incoraggiare il lavoro politico e la funzione di quanti -anche dentro il partito comunista-, avevano abbandonato la logica dellalternativa di sistema e lavoravano ad un processo di cambiamento idealmente molto esigente, ma realistico. Solo successivamente fu Ingrao (non ricordo bene in quale occasione), ad usare il termine miglioristi in chiave spregiativa.

Per parte mia, ero nettamente a favore di una nostra scelta per lautodefinizione di miglioristi, per due ragioni. La prima (lo ammetto: poco convincente, perché ispirata ad obiettivi di tipo propagandistico, nella competizione interna al partito) era la pronta ritorsione che quella definizione rendeva disponibile per chi la assumesse: sì, noi siamo orgogliosamente miglioristi, e ci distinguiamo da voi che siete a tal punto peggioristi” da considerare degno di disprezzo chi lavora per ottenere il meglio.

La seconda -più seria- era proprio riferita alla naturale capacità che il nome miglioristi possedeva di definire la sostanza del nostro posizionamento di cultura politica: processo ininterrotto di cambiamento -ispirato da ideali di libertà, uguaglianza e solidarietà e da interessi e forze sociali di tipo progressista-, contro ogni logica di rottura di sistema in chiave classista. Difficile trovare qualcosa di più efficace per definire il senso della nostra battaglia.

Inutile dire che -alla fine- la definizione che comprendeva tutte le diverse sensibilità interne alla neonata corrente fu Area Riformista. Noi, fan del migliorismo, ci si accontentò del sostanziale sdoganamento circa luso della definizione da parte di chi lapprezzava.

Macaluso, dicevo, fu il primo (e unico) coordinatore dellarea riformista, finché essa ebbe vita. E, nello svolgimento di quel ruolo di direzione politica, Emanuele ha fornito un contributo determinante all’innovazione della cultura politica e della prassi della sinistra italiana.

1-  Lo ha fatto, in primo luogo, riflettendo criticamente sulla esperienza del PCI. Nella relazione al seminario dellarea riformista del 20/21 novembre del ‘92, Macaluso cerca di indagare sugli elementi di cultura politica che potevano spiegare linclinazione consociativa della linea politica del PCI, e ritiene di trovarli nel sostegno dato dal PCI a provvedimenti e misure sociali che avevano in definitiva anche una valenza corporativa e clientelare nellambito del sistema di potere dominante.

È una critica che si avvicina a quella di Luciano Cafagna sulla bulimia del PCI. Col linguaggio di oggi, si può dire che si tratta di una ben fondata analisi di quegli elementi di cultura politica che stavano alla base di un qualche cedimento dei comunisti italiani al populismo… Un fattore che non ha smesso di fare danni nemmeno oggi: il silenzio imbarazzato di molti, nel PD, su di un obbrobrio come Quota 100 richiama, ad esempio, l’acquiescenza dei comunisti alle misure ipercategoriali di pensionamento anticipato del passato: per tutti, si può ricordare il caso della famigerata legge 335 sugli ex combattenti dipendenti pubblici, che introduceva pesanti discriminazioni tra lavoratori. Se eri lavoratore pubblico ed ex combattente, andavi in pensione otto anni prima dellex combattente lavoratore privato. Un’enorme discriminazione tra lavoratori, che veniva tollerata in nome di un consapevole inganno, tipico dei populisti: oggi vale solo per questi; ma non è un privilegio ingiusto, perché domani, grazie a noi, sarà per tutti. Impossibile. E i dirigenti del partito lo sapevano benissimo. Ma non resistevano alla tentazione bulimica.

2- Macaluso non ha mai aderito al PD ed è sempre stato critico rispetto alle scelte che hanno condotto a costruire e a far vivere questo partito. Ma sbaglia chi pensa che Emanuele non abbia visto -per tempo e prima di altri-lesigenza di costruire in Italia un soggetto politico -un partito- capace di essere esso stesso di centrosinistra.

Risale al 21 ottobre del 1994 un documento inviato da Macaluso ai dirigenti dellarea riformista del PDS, in cui, dopo aver apprezzato il tentativo del segretario DAlema di allacciare un rapporto con il centro, mostra i limiti di questa iniziativa, perché -scrive testualmente Macaluso- non c’è uniniziativa per fare del PDS un partito che abbia, in sé medesimo, parte di questo centro-sinistra”.

Non si trattò di unintuizione non sviluppata, di unidea su cui non si fosse dispiegata una trasparente iniziativa politica. Al contrario: quando Emanuele la riprende, nei mesi finali del 94, lo fa sulla base di uniniziativa politica dellarea riformista, volta alla costruzione del Centro di Iniziativa del Socialismo Democratico e Liberale nellAlleanza Democratica. Il manifesto del CISDEL, scritto dai riformisti del PDS con personalità come Giorgio Ruffolo, Salvatore Veca e Massimo Salvatori, sostiene in modo esplicito lesigenza di dar vita ad un soggetto politico di tipo federativo che fosse esso stesso di centro-sinistra; e afferma la centralità -in quel nuovo contesto- del socialismo democratico e liberale.

Macaluso giungeva a sostenere questa ipotesi di ridefinizione dei soggetti politici e dellintero campo del centro-sinistra riflettendo sui limiti che avevano portato alla sconfitta della primavera del 94, in cui -dice Emanuele citando la relazione di Umberto Ranieri al convegno di Milano del CISDEL (ottobre 1993)- il PDS e le forze del centro-sinistra erano rimasti impigliati nella rete di un triplice mito: quello dellunità della sinistra; quello dellunità politica dei cattolici; quello dellunità politica delle forze laiche, espresso nella ricerca della terza forza.

In particolare, riferendosi al PDS, Macaluso vede la sconfitta come lesito di un duplice errore: a- “Non aver lavorato in tempo per sollecitare una personalità in grado di ottenere il consenso della sinistra e del centro, al fine di presentarne la candidatura alla premiership, nel nuovo sistema maggioritario…(Gravissimo errore quello di Occhetto leader non leader, scrive Macaluso); b- Aver considerato prevalente unire tutta la sinistra, non avere nemici a sinistra, affermando, nella sinistra unita, legemonia degli ex comunisti.

 

*Intervento al convegno dal titolo: “Emanuele Macaluso, una vita nella sinistra”, Roma 1/10/2021

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