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No riforme, ritorno alla Prima Repubblica: il passo del gambero dei proporzionalisti

Carlo Fusaro lunedì 2 Maggio 2022
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di Carlo Fusaro

“Left Wing” (che non va confusa col political drama americano “The West Wing” (e che si presenta così: «Left Wing nasce alla fine del 2003 come punto di raccolta, strumento di battaglia e luogo di discussione per un piccolo gruppo di sbandati, in buona parte reduci, militanti ed elettori della sinistra») rilancia a dieci mesi dalle elezioni l’idea di rendere interamente proporzionale la vigente legge elettorale, che risale a meno di cinque anni fa e che è proporzionale per 5/8 dei seggi. Di più: nel 2018 con l’assetto tripolare che caratterizza il nostro sistema partitico dal 2013 (centrodestra, centrosinistra, M5S), ha dato esiti già praticamente proporzionali.

Vado a documentare.

La Lega, nel 2018, con il 17.35% dei voti ebbe (Camera) il 19.60% dei seggi; Forza Italia con il 14.00%, ne ebbe il 16.30% dei seggi; Fratelli d’Italia col 4.35, il 5.00%. Tutto il centrodestra unito, con oltre il 37%, ebbe 41.5% in seggi (+ 4.5%). Il M5S, da solo, con il suo 32.68% di allora, ebbe il 35.9% in seggi (+3.22%). Il centrosinistra sconfitto riportò il 22.86% in voti ma salvò il 18.4% in seggi. Leu, da solo, col 3.39% in voti ottenne il 2.2% in seggi.

Come si vede si tratta di differenze modestissime. Si consideri che l’1% valeva allora circa 6 seggi, e ne varrà (con la riduzione dei deputati e dei senatori) meno di 4 alla Camera e meno di 2 (due!) al Senato. Anche il premio implicito derivante da quei tre ottavi di collegi uninominali (e dagli eventuali accordi per candidati comuni fra i partiti) è limitatissimo. Fosse di nuovo intorno al 3-5%, parliamo di 12-18 seggi alla Camera e di 6-8 al Senato.

Vabbè che tutto fa brodo, ma questi pochi seggi sono funzionali, a ben vedere, solo per l’interesse (sistemicamente irrilevante, anzi dannoso) di alcuni parlamentari attuali di avere qualche possibilità di rielezione in più, dando evidentemente per scontato di non vincere le elezioni.

Si fa portavoce della proposta iper-proporzionalista Francesco Cundari attribuendola all’intero Pd, anche se non pare che Enrico Letta l’abbia fatta propria: tanto più che avendo riportato il partito al primo posto nei sondaggi e la potenziale alleanza di centro-sinistra verso il 30% non si vede proprio perché il Pd dovrebbe investire il suo capitale politico in una proposta di questo genere che va contro il programma che lo ha caratterizzato dalla sua fondazione in avanti. Lo mostrano bene gli argomenti che vengono usati per riproporre la proporzionale integrale stile c.d. prima repubblica e che Cundari lealmente espone nel suo ultimo articolo su “Linkiesta” del 2 maggio: il de profundis definitivo per qualsiasi tentativo di riforma istituzionale, accompagnato dalla strana tesi secondo la quale – dato e non concesso che si debba smettere di parlare di riforme – l’unica “neutra” da fare sarebbe il ritorno, appunto, alla proporzionale integrale; e si tratterebbe per di più di farlo proprio qui ed ora per… smettere di fare riforme!

In realtà siamo di fronte a un gioco delle tre carte: perché come ho mostrato la proporzionale già c’è, perché cambiare ancora una volta la legge elettorale a pochi mesi dal voto può solo legittimare manipolazioni partigiane, perché – oltretutto – non v’è in Parlamento alcun consenso su una scelta del genere. Non bastasse i proponenti di questa bella idea non ci risparmiano le recriminazioni perfino in relazione alla sacrosanta e ormai archiviata riduzione di deputati e senatori (la cartina di tornasole, tutto torna, che svela l’impostazione sostanzialmente reazionaria, più che conservatrice del ragionamento).

Invece no. La salus rei publicae richiede serietà e impegno di lunga lena. Non si può cambiare legge elettorale ad ogni rinnovo del Parlamento. Non si può semplicemente riportare l’orologio a trent’anni fa (non l’età dell’oro, ma l’età della massima crisi del nostro sistema politico-istituzionale: salvo per chi pensa che Mani pulite sia stata la causa di tutti i nostri mali, affossando una democrazia dei partiti sana e funzionante). Di riforme c’è bisogno e come. Le si affrontino tutti insieme a partire dalla prossima legislatura: in quel quadro si potrà e probabilmente si dovrà rivedere anche la legge elettorale.

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