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Pd, il “grande freddo” porta alla paralisi

Mario Rodriguez venerdì 23 Novembre 2018
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di Mario Rodriguez

 

Il Pd pare sia a un nodo se non gordiano molto assuccato soprattutto perché non tutte le componenti (sia fondative sia native) hanno pienamente accettato alcuni elementi qualificanti della sua ragion d’essere: la necessità del pluralismo (ideologico o culturale che si voglia definire), quella della leadership competitiva (primarie aperte), della unicità della leadership (segretario premier). E poi certo che dietro la rappresentazione simbolica ci sono i destini personali, antipatie e caratteri umani, ma la rappresentazione pubblica del dibattito che definisce la sostanza politica è questa.

 

Un profilo identitario offuscato

Da qui un offuscamento del suo profilo identitario e una apatia prodotta dal blocco reciproco delle diverse componenti anche sul piano della elaborazione delle proposte. Ogni volta che si discute davvero si ritorna sui fondamentali e questo impedisce di ragionare sui cambiamenti epocali in atto, su quello che è diventato il capitalismo passando dalle 7 sorelle del petrolio a quelle delle piattaforme digitali (per ricordare solo una delle grandi mutazioni in atto). È questo che rende legittimo chiedersi se non danneggi tutti questo blocco reciproco sempre orientato alla nostalgia, al come eravamo (o ci raccontiamo di essere stati).

 

Manca la meta mobilitante

In un’epoca nella quale il dominio della spettacolarità – indotta dai media e accelerata dai social – ha portato in primissimo piano la capacità e la necessità di generare feeling che producono senso e spingono all’azione, mi pare che nel Pd sia venuto a mancare proprio il pathos necessario per indicare una meta mobilitante. In Renzi c’era la forza, la dedizione ad un obiettivo. E c’era in Renzi come in tutti i leader apparsi sulla scena della politica pop a cominciare da Berlusconi per arrivare oggi a Salvini e Grillo/Di Maio. Ma anche agli albori della politica spettacolo quelle di Berlinguer e Craxi furono leadership fortemente emozionali.

 

La sinistra italiana (accademia e media) ha stroncato Renzi

La sinistra italiana tramite i suoi intellettuali fortemente egemoni nella accademia e nei media ha temuto l’autonomia di un giovanotto spavaldo e per necessità “eroico” per scomodare Weber (altrimenti non sarebbe mai emerso) e lo ha stroncato. Penso sarebbe convenuto a tutti e alla sinistra rischiare di fargli scaricare le sue potenzialità. Ma non è andata così. E ci vorrà tempo per far emergere una nuova leadership coagulante e convincente.

 

Il rischio della paralisi

Nella riflessione del Pd mi pare assente una tensione emozionale necessaria a mobilitare gli esterni ai circuiti della politica istituzionalizzata. Anzi l’unica tensione ancora la genera Renzi, presente assente. Certo dividersi sapendo di dover comunque collaborare appare una contraddizione in termini e la storia ci ha già detto che ogni divisione produce conflitti tra coetanei non facilmente riassorbibili. Ma o nella presentazione delle candidature emerge da subito una novità credibile nel riconoscimento della legittimità di ciascuno o continuare così produce solo l’effetto di paralizzare tutto.

Dalla palude del consociativismo da cui il Pd voleva uscire brandendo la bandiera del maggioritario e della piena alternanza arriveremmo alla palude del consociativismo interno di un partito declinante tenuto insieme solo dalla permanenza di spazi di potere a livello locale.

 

P.S.

Il grande freddo (in inglese: The Big Chill) è un film del 1983 diretto da Lawrence Kasdan.

Per il funerale di un amico, suicidatosi senza motivo apparente, si incontrano un gruppo di ex compagni di college. Hanno condiviso i sogni e le aspirazioni negli anni sessanta, poi si sono persi di vista e si ritrovano cambiati nelle aspirazioni e nelle aspettative. L’incontro è l’occasione per ricordare i sogni della giovinezza e confrontarli con il presente.

 

 

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1 Commenti

  1. oscar venerdì 23 Novembre 2018

    Chapeau! un’analisi di rara (e coraggiosa) lucidità.

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