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Più rispetto per gli europei dell’Est, dominati dai sovietici

Claudia Mancina lunedì 23 Settembre 2019
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di Claudia Mancina

 

Politica, storia, memoria. La politica non può fare a meno della storia, ma si dovrebbe accostare ad essa con più rispetto e più umiltà di quanto usi fare.

La storia e la politica però dovrebbero collaborare nel fare i conti con la memoria, come ci ha ricordato Guido Crainz, ma anche Tony Judt, che, in Postwar, constata con allarme come la ex-Germania Est non abbia fatto i conti col suo passato comunista, e i suoi giovani siano spesso convinti che il loro paese abbia combattuto insieme all’Unione sovietica contro Hitler.

La risoluzione del Parlamento europeo di cui si discute in questi giorni è effettivamente superficiale e mal scritta, e l’idea di istituire una giornata contro i totalitarismi nella ricorrenza del patto Molotov-Ribbentropp è piuttosto bizzarra.

Però attenzione. E’ chiaro che non si può sostenere che la seconda guerra mondiale sia diretta conseguenza di quel patto; è altrettanto chiaro che quel patto consentì a Hitler di lanciare il suo attacco sul fronte occidentale. E’ vero che l’Unione sovietica non aveva torto, di fronte alla evidente tendenza inglese all’appeasement con Hitler – il miglior testimone della quale è com’è noto Churchill – a non fidarsi degli occidentali, e a cercare di evitare quell’attacco che poi arrivò lo stesso, qualche anno dopo. E’ altrettanto vero che l’esito di quel patto fu una vergognosa spartizione della Polonia e l’occupazione delle repubbliche baltiche.

Dovremmo portare più rispetto, oltre che alla storia, alla memoria dei polacchi e dei baltici. E dei cechi, degli ungheresi, di tutti i popoli che furono dominati dai sovietici.

Ma vorrei sottolineare che sottovalutare il peso morale e politico di quel patto ignora anche la memoria dei comunisti occidentali, che vissero una profonda crisi alla notizia. Molti lasciarono il partito comunista. Un nome per tutti: Paul Nizan, scrittore francese morto a Dunkerque.

Il contributo dell’Unione sovietica alla guerra contro Hitler è stato poi decisivo, come sappiamo: decisivo quanto la resistenza inglese nella prima fase della guerra e quanto l’intervento americano nell’ultima fase. L’Urss è il paese che ha pagato di più in termini di vite umane: più di venti milioni di morti.

Questo però non è qualcosa da mettere sul piatto della bilancia per riequilibrare il peso del regime totalitario e repressivo instaurato dai sovietici non solo nel loro paese, ma in tutti quelli che rientravano nella loro sfera di influenza. Che a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla svolta di Occhetto, e a più di quaranta dall’affermazione di Berlinguer di sentirsi più sicuro di qua che di là, ci sia ancora chi nel Pd si sente in dovere di difendere il comunismo sovietico, è stupefacente.

Le differenze tra nazismo e comunismo ci sono, e devono essere indagate dalla storia e dalla teoria (come peraltro quelle tra nazismo e fascismo). Ma sono stati comunque due regimi totalitari, e si comprende che chi ricorda il giogo del comunismo non abbia molta voglia di soffermarsi sulle differenze.

Quella che per la metà occidentale dell’Europa è stata una liberazione, per la metà orientale è stato l’inizio di una lunga servitù. La fine della guerra ha dato origine a due Europe diverse: ora è troppo facile per noi occidentali dimenticarlo.

L’importanza della costruzione europea sta in questo progetto di superamento delle divisioni: non solo di quella della guerra tra la Germania e il resto del continente, ma anche di quella del dopoguerra tra Est e Ovest. Abbiamo tutti bisogno di fare i conti con questo passato, lasciando da parte le ideologie novecentesche che tanti danni hanno fatto.

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