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Programma nazionale di riforma, basta attese: il Pd batta un colpo

Enrico Morando sabato 27 Giugno 2020
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di Enrico Morando

 

Lo scenario di incertezza “radicale“ in cui siamo immersi non può essere usato dal Governo come fattore di legittimazione di scelte di rinvio. Se era giustificabile la decisione del Governo italiano di non presentare il Programma Nazionale di Riforma (PNR) unitamente al DEF – come prescritto dalle regole del semestre europeo, almeno formalmente rispettate dai nostri partner nell’Unione-, ora l’ulteriore rinvio della sua presentazione, oltre a non trovare motivazioni sufficienti nello stato di prima emergenza, sarebbe controproducente sia sul piano strategico (il ritorno del Paese ad una crescita stabile e sostenibile), sia sul piano tattico (le intese coi partner europei per un efficace Next Generation EU).

Sul primo terreno, la programmazione di medio-lungo periodo è essenziale, perché “un progetto compiuto rende più chiara la prospettiva, influisce sulle aspettative, accresce la fiducia…“ (Visco, Considerazioni finali 2019). Costruire le proprie aspettative su di un chiaro contesto di politica economica e fiscale influisce anche sulle scelte che lavoratori, imprese, investitori e consumatori compiono nel presente e nel futuro prossimo. Più li si lascia preda dell’incertezza radicale, più è probabile che essi compiano scelte ispirate ad un eccesso di cautela, così trasformando i loro timori in profezie che si autoavverano (ci parlano di questo rischio, probabilmente, i 16,8 miliardi depositati in banca nel mese di marzo, contro una media mensile pre-Covid di 3,4 miliardi).

Non può essere il solo PNR -per di più elaborato in tempi ristretti- a costituire un solido riferimento per tutti gli attori economici? Vedo i limiti che le circostanze impongono, anche se -prendendo sul serio le iniziative assunte dal Governo col documento della commissione Colao e gli Stati Generali- si può sostenere che la fase di preparazione sia stata capace di far emergere sia le convergenze, sia i nodi più intricati da sciogliere. Da questo punto di vista -a condizione di non mettere ora altro tempo in mezzo- si potrebbe addirittura sostenere che, per l’Italia, sarà alla fine un vantaggio non aver presentato -come invece hanno fatto tutti gli altri Stati membri- il PNR insieme al DEF. Gli effetti economici e sociali della pandemia sono oggi, purtroppo, più evidenti e, per questo, meglio conosciuti; così che l’attività di programmazione potrà fondarsi su basi cognitive più solide.

A luglio maggioranza e Governo non avranno ancora “trovato la quadra” sui punti più controversi, e bisogna dar loro il tempo di costruirla? La risposta è in una ulteriore domanda.: davvero c’è qualcuno che pensa che a settembre, sul ricorso al MES per finanziare l’indispensabile e urgente piano di ristrutturazione del sistema sanitario; sulle scelte in materia di concessioni autostradali, come componente essenziale di un grande progetto di nuova infrastrutturazione materiale del Paese; sul ridisegno del “Servizio Giustizia“, sia ai fini di migliore tutela dei fondamenti della democrazia liberale, sia a fini di innalzamento della produttività grazie al buon funzionamento di questa essenziale istituzione economica…, davvero c’è qualcuno che pensa che gli attuali fattori di paralisi su questi temi (e ce ne sono altri, altrettanto rilevanti), si scioglieranno da soli, per la calura estiva?

Insistere perché il Governo decida subito può portare ad una rottura della maggioranza che lo sostiene, tra M5S da una parte e PD dall’altra? È un timore che può giustificare un atteggiamento di massima cautela in sede istituzionale, nel lavoro parlamentare e nel confronto interno al Governo. Ma non può spiegare la totale assenza di iniziativa politica dei riformisti -in particolare, del PD- volta a modificare a loro favore, nel discorso pubblico, i rapporti di forza, sia con gli alfieri della conservazione, illusi che stando fermi si possa tornare dove si stava prima del Covid, sia con i sostenitori del rinvio, illusi che “saranno i fatti“, alla fine, a far prevalere le posizioni giuste. Un esempio per tutti: è importante che i cittadini, alla ricerca di ragioni per sperare in un futuro migliore, sappiano che almeno uno dei partiti di Governo sostiene senza incertezza l’urgenza di un piano di ristrutturazione/riforma del sistema sanitario, concentrato sul rafforzamento della prevenzione, dei servizi territoriali e delle cure per i più deboli, affetti da patologie croniche. Un piano che si deve e si può finanziare solo con le risorse del MES, acquisibili a condizioni molto vantaggiose.

Se Conte ripete che “deciderà dopo aver letto attentamente le clausole “(?), quel che serve non è un PD in silente attesa o un PD che revochi la fiducia a Conte, ma un PD che produca mobilitazione politica dicendo apertis verbis che il MES ci vuole, e subito, perché è l’unico modo per finanziare un piano sanitario la cui rapida attuazione è, letteralmente, questione di vita o di morte.

Infine, la predisposizione di un credibile PNR è un’ottima carta da giocare nel difficile confronto tra gli Stati membri in vista del Consiglio di metà luglio, che dovrebbe riuscire a varare il piano Next Generation EU. L’Italia ha un interesse vitale a che il disegno definitivo del Recovery Instrument sia molto vicino alla proposta avanzata dalla Commissione, a sua volta ispirata dall’accordo Merkel-Macron. I governi che ostacolano questo esito stanno progressivamente abbandonando il loro drastico dissenso iniziale, ed insistono ormai soltanto su di una condizione che definirei di “coerenza programmatica“: bene il debito comune per i crediti e i contributi, purché essi vengano usati secondo le specifiche Raccomandazioni rivolte ad ognuno dalla Commissione ed in coerenza coi Programmi nazionali di riforma “approvati“ dagli organismi comunitari, così che anche le tranche di finanziamento siano erogate in rapporto allo stato di avanzamento nella realizzazione delle riforme.

Se le cose stanno così -ed è impossibile negare che stiano così-, il miglior contributo che l’Italia può dare alla “sua“ causa (e a quella di tutta l’Unione) è dimostrare coi fatti che questo tipo di “condizionalità“, l’Italia, non solo lo accetta, ma lo rivendica, nell’interesse suo e dell’intera Unione. Anche in questo caso, persino al di là delle scelte del Governo, c’è un gran lavoro da fare per i riformisti: gli europeisti più coerenti, se parlano forte e chiaro, possono far udire la loro voce anche fuori dai confini nazionali, fino alla decisiva riunione di luglio del Consiglio.

 

 

 

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