LibertàEguale

Digita parola chiave

Se il Pd esclude i riformisti la destra non avrà rivali

Redazione lunedì 28 Novembre 2022
Condividi

Intervista a Enrico Morando a cura di Umberto De Giovannangeli (Il Riformista, 25 novembre 2022)

 

Nel PD alla ricerca di un nuovo senso di sé, esiste ancora un orizzonte e soprattutto uno spazio per i “riformisti”?
Il PD ha perso le elezioni perché ha commesso una serie impressionante di errori politici.

Prima la cosiddetta “alleanza strategica“ col M5S, che trasformava una soluzione di emergenza -la formazione del Governo giallorosso contro le pretese di Salvini del Papeete-, in una strategia di lunghissimo periodo, nella quale il PD rinunciava, pressoché esplicitamente (Conte “riferimento“ del progressismo europeo) alla sua funzione politica fondamentale, quella di garantire, in quanto partito esso stesso di centrosinistra, un solido asse ideale e programmatico e una sicura leadership alla coalizione che compete col destra-centro per il governo del Paese.

Poi la rapida presa d’atto dell’impossibilità -per “colpa“ degli altri partiti del centro-sinistra- di costruire una coalizione competitiva. Certo, gli altri partiti del centro-sinistra ci hanno messo del loro, per giungere a questo esito. E infatti condividono con noi la pesante sconfitta subita. Ma è il partito a vocazione maggioritaria che ha l’onore e l’onere inderogabile di portare di fronte agli elettori una proposta di governo competitiva. Se non riesce nello svolgimento di questo compito, la “colpa” è soprattutto sua.

La dismissione della sua funzione politica si è poi completata con l’esplicita affermazione che la striminzita coalizione portata al giudizio degli elettori non era programmatica, ma elettorale. Quindi, esplicitamente priva di un candidato alla Presidenza del Consiglio.

Fino a far campagna per il voto “utile“ non per governare, ma per impedire ai sicuri vincitori di disporre dei seggi parlamentari sufficienti per cambiare unilateralmente la Costituzione.

Sento che sta per chiedermi cosa c’entri tutto questo con lo spazio dei “riformisti“ nel PD. Le rispondo che c’entra moltissimo: sia l’esplicita individuazione di questi errori politici, sia la conseguente iniziativa per porvi rimedio, non possono svilupparsi, nel PD, senza il contributo determinante di una componente riformista che accetti, nell’imminente Congresso, la sfida della sinistra conservatrice. Le regole del Congresso del PD -con il potere di decidere su linea politica e leadership affidato agli elettori più attivi- creano le condizioni per un aperto confronto tra queste due posizioni, che ci sono in tutti i partiti di centrosinistra d’Europa e del mondo. Il PD è contendibile.

C’è chi invoca una “Epinay” Dem che porti alla definizione di un socialismo del XXI° secolo. Ma se questa sarà la direzione di marcia cosa resterebbe delle ragioni originarie che portarono alla nascita del Partito democratico, di cui lei fu tra i soci fondatori?

Il socialismo liberale -una tradizione e una cultura politica cui mi onoro di appartenere- è una componente fondamentale, in Europa, dei partiti di centrosinistra a vocazione maggioritaria. Lo è anche del PD.

Ma qualsiasi pretesa di riduzione ad una delle culture politiche del riformismo italiano che si sono impegnate per dar vita al PD, sarebbe esiziale per questo partito. Vedo che c’è chi irresponsabilmente invoca e lavora per questa scelta. Addirittura c’è chi pensa ad un congresso in cui di fatto si misurino quelli che vengono dal PCI-PDS-DS e quelli che vengono da formazioni politiche del cattolicesimo liberale. Una mutilazione che precede il suicidio.

E, attenzione, non si tratta di una questione che riguarda l’interna corporis del PD. Se fallisce il partito a vocazione maggioritaria, casa comune dei riformisti, il destra-centro rimane letteralmente privo di avversari nella competizione per il governo.

Letta invoca un partito “pugnace”. Come declinerebbe questo aggettivo? Pugnace per fare cosa e con chi?

Un partito combattivo, capace di organizzare attorno a sé una coalizione con partiti minori, cui fornire una visione sul futuro del Paese, un programma di governo e una leadership che incarni l’una e l’altro di fronte agli elettori.

Chi pensa che il Paese possa a fare a meno di un partito così, sbaglia di grosso. Sto parlando sia di chi sta dentro il PD, e pensa di trasformarlo -magari in alleanza col M5S- in una sorta di France Insoumise. Sia di chi pensa che la sconfitta dei riformisti del PD sia ormai irreversibile, e che sia necessario tornare alla divisione del lavoro tra sinistra-sinistra e partiti di centro.

Ecco perché penso che, in questa fase, il PD debba investire soprattutto su se stesso, non cercando di usare la politica delle alleanze con altri partiti per superare i limiti del suo rapporto con le forze vive della società: non sarà delegando ad altri partiti la rappresentanza degli operai, dei tecnici, dei professionisti, delle partite Iva, delle imprese che potremo superare i deficit accumulati negli ultimi anni.

È iniziata la corsa alla segreteria. Stefano Bonaccini, Elly Schlein, prim’ancora Paola Micheli e forse anche altri. Lei con chi sta?

Con altri riformisti, abbiamo lavorato ad un documento per il congresso del PD. Contiene indicazioni sia sul posizionamento ideale e di cultura politica del PD -proponendo l’assunzione di un punto di vista più marcatamente “laburista“ rispetto al passato-, sia sulle scelte politiche fondamentali da compiere in questa fase, partendo dall’esigenza inderogabile di continuare a fornire all’Ucraina tutto l’aiuto necessario. Tutto vuol dire tutto, compreso l’invio di armi. Credo che Bonaccini abbia posizioni in parte diverse, ma non distanti da quelle contenute nel testo di cui sto parlando.

Che destra si sta rivelando quella che governa oggi l’Italia? C’è chi individua in certe posizioni assunte – migranti, norme anti-rave, famiglia – alcuni tratti di quel “Fascismo eterno” tratteggiato da Umberto Eco.
Lascerei stare il “fascismo eterno”. Già ci siamo cascati con i manifesti della campagna elettorale: il rosso, il bene; il nero, il male. Un bel favore a Meloni, che voleva al tempo stesso stare sul terreno identitario -noi Fratelli d’Italia, coerenti oppositori e diversi dagli altri perché anti establishment-, aderendo però alle due scelte fondamentali del Governo Draghi: aiuto (anche militare) all’Ucraina e responsabilità della politica fiscale (no agli scostamenti di bilancio).

Quanto alle prime scelte di governo, Meloni -consapevole di non poter fare praticamente nulla di quello che ha promesso in campagna elettorale-, ha impapocchiato confusamente un po’ di contentini per la sua base. Quasi tutti, peraltro, travolti dal richiamo della realtà, della Costituzione, del buon senso.

Altra cosa è la legge di bilancio: qui prevale nettamente la continuità col Governo Draghi (tre quarti delle risorse sono impiegate su scelte e obiettivi del precedente Governo). Non è affatto vero che questo tolga spazio all’opposizione. Piuttosto, reclama un lavoro più impegnativo.

In primo luogo, obbliga a prendere sul serio il carattere triennale della legge di bilancio: i vincoli così forti oggi (esempio: bollette e intervento sulle accise), lo saranno meno domani. La proposta del Governo è tutta schiacciata sui primi mesi del 2023. Perché non avanzare interventi di riforma (penso alla riduzione del prelievo Irpef sul reddito da lavoro delle donne), che si muovono nell’orizzonte temporale dei prossimi tre anni?

In secondo luogo, il Governo può essere sfidato, nel presente e nel futuro prossimo, alla ripresa in grande stile della revisione della spesa, colpevolmente abbandonata da tutti i Governi della scorsa legislatura.

In terzo luogo, il PD e l’opposizione potrebbero affondare il coltello nella ferita aperta, per il destra-centro, della legge sulla concorrenza, dalla quale possono derivare (es. gare per le concessioni sulle aree demaniali) sia un impulso allo sviluppo economico, sia entrate aggiuntive per l’erario.

In assenza di questo sforzo di proposta -che potrebbe dare un senso anche alla mobilitazione di piazza- vedo il rischio che il PD si getti nel gorgo di proposte aggiuntive di spesa prive di copertura. Ne sortirebbe un nuovo favore a Meloni, che ha fatto una legge di bilancio senza alcun respiro, ma potrebbe limitarsi a fare la parte della “responsabile“, che non indulge alla spesa facile.

L’area riformista Dem di cui lei è uno degli esponenti di punta, è sempre stata molto attenta e sensibile al tema del garantismo. Non crede che su questo il “nuovo PD” dovrebbe avere un profilo più netto, una linea più chiara senza occhieggiamenti al giustizialismo “di sinistra”?

Rispondo senza giri di parole: c’è stata una deriva di populismo penale, che ha coinvolto anche il PD: costante definizione di nuove figure di reato, stabilizzazione di norme emergenziali, sostegno acritico all’azione di certi pubblici ministeri considerati infallibili. Tutto ciò ha consolidato lo squilibrio tra i poteri e ha frenato lo sviluppo del Paese. Dobbiamo ripartire dall’attuazione dell’articolo 111 della Costituzione, come riformato nel 1999: giusto processo con tempi ragionevoli, terzietà del giudice, con separazione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante.

Tags:

Lascia un commento

L'indirizzo mail non verrà reso pubblico. I campi richiesti sono segnati con *