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di Giovanni Cominelli

 

La “Peste nera” del Trecento – che il medico tedesco Justus Hecker nel 1832 battezzò “Morte nera”, ben prima di Guerre stellari – partì nel 1346 dal Nord della Cina.

 

La “Peste nera” del Trecento, le altre pesti, la Cina

Alla fine del 1347 era già sbarcata in Sicilia; passando per Genova, nel 1348 infettò l’intera Penisola e l’Europa continentale; nel 1349 raggiunse l’Inghilterra, la Scozia, l’Irlanda; nel 1353, incominciò a scomparire. Lasciò sul campo 20 dei 60 milioni di Europei dell’epoca. Come scrive un cronista svedese, in latino incerto: “Mors nigra surrexit et gentes reddidit illi” – la Morte nera si levò e i popoli vi si arresero”.

La peste del 1629-30, portata dai “soldati alemanni” che andavano all’assedio di Mantova, produsse la stessa percentuale di morti del 1348 a Bergamo, ad Alzano, a Nembro, a Clusone… Nel 1855 una pandemia si mosse sempre dalla Cina e si propagò per tutta l’Asia, uccidendo circa 10 milioni di persone nella sola India. Il Covid-19 è partito di nuovo dalla Cina. Dal novembre 2019 in breve tempo ha raggiunto Alzano, Codogno, Vo’ Euganeo… Perché “sempre” dalla Cina? Gli epidemiologi rimandano al peculiare rapporto cinese tra uomini e mondo animale. Le carestie cicliche cinesi hanno spinto quelle popolazioni a mangiare tutto ciò che è vivo, anche se non è proprio sano.

 

Alzano e Nembro, il governo, l’anarchia criminale degli Italiani

Perché è toccato proprio ad Alzano-Nembro?… Perché, da sempre, virus e batteri camminano sulle grandi vie commerciali. La Valle Seriana è densa di piccole aziende, strettamente collegate con la Cina. Tra il Natale e l’Epifania, manager, tecnici, lavoratori sono andati e tornati dalla Cina, ignari del fatto, occultato dai Cinesi, che laggiù il virus fosse in attività già dallo scorso Novembre.

A parte un articolo allarmato di Burioni dell’8 gennaio, solo dalla metà di febbraio quassù ci siamo accorti. La logica avrebbe voluto che si applicasse ad Alzano-Nembro la zona rossa come a Codogno. Restano misteriose le ragioni: colpa del Prefetto, paure delle aziende, resistenze diffuse? Eppure il Sindaco lo aveva chiesto!

Intanto, a livello nazionale si sono aperte le danze dell’improvvisazione del governo e della demagogia dell’opposizione e l’allegra e criminale anarchia di troppi Italiani. Insomma, sono occorsi due mesi, perché la politica e i cittadini capissero la severa posta in gioco.

Alle spalle degli effetti del Covid-19 sta, con tutta evidenza, non il Fato della Natura, ma l’errore umano. Ci ha sorpreso tutti quanti. Chiudere tutto? Aprire tutto? Semi-aprire? Semi-chiudere? Un governo incerto, Regioni divise, un’Amministrazione lenta e inefficiente, cittadini irresponsabili: con questo mix è difficile gestire un’epidemia. I “regimina contra pestilentiam”, oggi DPCM, hanno spesso l’effetto delle “gride”.

Tuttavia, è ingeneroso e di scarsa consolazione perdersi oggi nel labirinto delle colpe, in base ad un sapere postumo, richiamando ossessivamente le dichiarazioni auto-contraddittorie da un giorno all’altro degli esponenti politici e i comportamenti incivili di molti cittadini. Finora hanno supplito la dedizione eroica del personale sanitario, professionale e volontario, e, sempre di più, l’emergere di un nuovo spirito di responsabilità collettiva. Alla fine, più che l’etica pubblica potè la paura di morire. Quando usciremo dal “viaggio intorno alla nostra camera”, ci sorprenderemo più intelligenti e più buoni?

Con troppa lentezza, anche gli altri Paesi, con governi più forti, amministrazioni più efficienti e cittadini meno indocili, stanno aprendo gli occhi e stanno facendo i conti. Che saranno lunghi e salati per tutti.

E la britannica “immunità di gregge”? Nelle mie memorie ginnasiali sta un racconto di F. Rabelais, nel quale un tale Panurge, compagnone di Pantagruel, essendo stato offeso da un proprietario di pecore, trasportate via nave, per risposta vendicativa acquista il montone-guida del gregge e lo getta in mare. Tutto il gregge segue il capo e annega. A parte la faccenda dell’immunità – scientificamente non troppo solida, pare –  non ci sono più “popoli” e “greggi”, soprattutto nel mondo anglosassone, dove la Thatcher ha sostenuto molto tempo fa che non esiste la società, solo “individuals”. L’individuo, in tutte le sue modulazioni liberali, liberiste, cattolico-personaliste, calviniste, non accetta più “lacrime e sangue”, soprattutto se il nemico non è un altro popolo, ma un virus. Così risulta anche difficile per una società ad invecchiamento crescente accettare tranquillamente che gli anziani vengano fatalmente destinati alla “Brexit verso l’Aldilà” in nome del “gregge”, della “nazione”, del “popolo” e del PIL. Anche Johnson è stato costretto a fare marcia indietro.

 

Finitezza e finitudine

Intanto, mentre ciascuno di noi è impegnato nella lotta contro “la morte  nera” – per la maggioranza non è così eroica: basta stare in casa, mentre ai miei nonni e padri fu chiesto, da un giorno all’altro, di avviarsi verso il Carso o verso il Don! – occorre incominciare a ripensare il nostro futuro sociale, economico, politico, istituzionale. Covid-19 ha fatto saltare tutte le agende: internazionali, nazionali, politiche, economiche, di governo e di opposizione. Molti stanno scrutando nel futuro per ricostruire le nuove agende.

Qui voglio limitarmi a cercare di decifrare quanto succede dentro ciascuno di noi. I sommovimenti delle coscienze individuali, generati dai traumi della storia, producono mutamenti all’inizio impercettibili, ma di lunga durata, delle civiltà. Le ricerche storiche sul “dopo-peste nera” del Trecento sono suggestive al riguardo.

In primo luogo, abbiamo riscoperto la nostra finitezza individuale. Non è una percezione nuova. Da sempre ci risuona nelle orecchie l’eco dell’ammonimento a Adamo, nella Genesi 3.19: “…quia pulvis es et in pulverem reverteris”. Ciò che, invece, sembra nuova è l’accelerazione di un processo, che da tempo si è sviluppato in Occidente: quello dell’esorcizzazione e del nascondimento della Morte. Altamente simbolica è la fila di camion dell’Esercito che portano via dal Cimitero di Bergamo le bare dei nostri cari verso posti lontani, sottraendole all’abbraccio dei riti religiosi o civili. Dopo le pesti medievali e moderne, i sopravvissuti non tornavano furiosamente solo ai propri affari; correvano a costruire chiesette, a dipingere Danze macabre, a scolpire nel marmo e nel legno. Era un tentativo estremo di ritessere lo sbrego nell’arazzo delle generazioni, un modo per richiamarle nella storia presente, dopo che i singoli erano stati coperti di calce nelle fosse comuni. Il legame con loro agiva come forza nel presente. Un modo per fare pace con la storia matrigna. Oggi, queste morti senza riti generano una solitudine senza confini dei sopravvisssuti.

In secondo luogo, il Covid-19 globale ci ha gettato in faccia la finitudine radicale della specie Homo sapiens. Finitezza è un fatto, finitudine è una possibilità di finire. Siamo stati abituati a presuppore che sì, l’individuo è mortale, l’umanità no. “Finitudine” significa che la specie umana non è necessaria al Pianeta, se non costruisce le condizioni di possibilità della propria esistenza.

Il Covid-19 è un errore umano. E’ probabile che riusciamo ancora una volta a vincere la guerra biologica scatenata dal virus contro di noi, ma la possibilità di una “crisi biotica dell’Olocene”, come teme Yuval Harari, va messa in conto.  Mentre la specie “sapiens” sogna, come Pico della Mirandola, di un uomo senza limiti e insegue trans-umanismi e post-umanismi, ingegnerie genetiche, nanobiotecnologie e Intelligenze artificiali, è forse necessario che essa incominci a elaborare un’etica di specie, in cui un nuovo rapporto con il Pianeta – che è il corpo dell’umanità – diventi oggetto di un imperativo categorico.

 

(Pubblicato da santalessandro.org il 21 marzo 2020)

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