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Cresce il partito del ‘lasciateci in pace’. Ma l’oriente europeo ci chiede più serietà

Vittorio Ferla martedì 3 Maggio 2022
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di Vittorio Ferla

 

Che la guerra faccia paura è quasi un’ovvietà. Lo dimostra la posizione degli italiani sulla fornitura di armi all’Ucraina: la larga maggioranza è contraria.

Alcune forze politiche di maggioranza – Lega e M5s, tanto per non fare nomi – hanno capito che cavalcare questa paura può portare dei vantaggi in vista delle elezioni del 2023.

Sono lontani i tempi in cui Matteo Salvini prendeva le parti dei gioielleri lombardo-veneti con la promessa di armarli tutti nel nome del principio di legittima difesa contro i rapinatori. Oggi il leader della Lega ha smesso i panni del pistolero: di fronte alla legittima difesa dell’Ucraina, quando qualche esponente del governo pronuncia la parola ‘armi’, la faccia di Salvini si riempie di brufoli. Il Capitano che durante le campagne elettorali girava con tanto di telecamere per i quartieri di periferia citofonando in cerca di tossici ha lasciato il passo al mite volontario che va in Polonia per aiutare le donne e i bambini ucraini fuggiti dalle proprie case. È toccato al sindaco della città di Przemysl il compito di svergognarlo pubblicamente rinfacciandogli l’entusiastica devozione per Vladimir Putin, il guerrafondaio che provoca l’esodo di quelle stesse persone che Salvini vorrebbe aiutare.

In passato anche Giuseppe Conte aveva flirtato con il capo del Cremlino. Al tempo della pandemia, aprì le porte del nostro paese alla visita dell’esercito russo incaricato di compiti di assistenza e salvataggio che assomigliarono parecchio a una missione militare e di intelligence. Oggi l’ex premier è per la Nato, ma senza esagerare. Dice ok alle armi all’Ucraina, purché siano difensive. Riconosce la legittima difesa del governo di Kiev sulla base dell’articolo 51 della Carta dell’Onu, a condizione di non disturbare troppo la Russia. Apre una vertenza contro il governo sulla questione delle armi, peccato che il ministro degli esteri che promuove l’aiuto militare è un esponente di spicco del suo stesso movimento. Chiede conto e ragione delle scelte del governo, ma quando Lorenzo Guerini, ministro della Difesa, relaziona al Copasir i parlamentari grillini si guardano bene dal contestarlo. Insomma, chi ci capisce è bravo.

Che cosa si muove al fondo di questi calcoli dei due partiti di governo che, per avventura, sostengono il governo più atlantista della nostra storia repubblicana dopo quelli di Alcide De Gasperi?

Pesano di sicuro le culture politiche tradizionali del paese. Quella cattolica, dal connotato pacifista molto forte, rianimato in queste settimane dalla pastorale di Papa Francesco, ben lontano dalla severità polacca di Giovanni Paolo II schierato con Ronald Reagan contro l’Urss, l’Impero del Male. Quella di sinistra classica, che vive come un cortocircuito prima di tutto culturale lo schierarsi dell’Italia contro la Russia degli antichi lampi rivoluzionari e al fianco dell’Amerika imperialista e capitalista. Quella di destra sovranista, che vede nel Cremlino la punta di lancia del nazionalismo premoderno ispirato dalla Chiesa ortodossa e schierato a favore della famiglia tradizionale e contro diritti civili e sessuali e altre mollezze di derivazione occidentale.

Ma se scendiamo dalle vette dell’ideologia resta un’area ben più vasta e pervasiva, che sotto il tema della pace nasconde quello del ‘lasciateci in pace’. Dall’imprenditore colpito nel suo business al trasportatore che patisce il rincaro dei carburanti, dal percettore di un sussidio che diminuisce il suo potere d’acquisto alla famiglia media colpita dalle bollette più salate: il partito del “particulare” è quello più spaventato dall’escalation e più sensibile alla necessità del negoziato. Per carità: la crisi morde tutti e bisogna aiutare chi ne soffre. E tuttavia sembra riemergere qui il partito dell’“albertosordismo” italiano: quelli che in extremis diventano pure eroi, ma dall’inizio alla fine preferirebbero mille volte evitare guai e vivacchiare tranquilli senza troppe responsabilità. Che vorranno mai questi ucraini? Già ci prendevamo le badanti e invece pretendono di resistere con le armi a un dittatore che minaccia di usare il bottone nucleare. Non è un caso che i palinsesti televisivi siano pieni di maître à penser che ogni giorno chiedono al governo di Kiev di mollare Donbass e Crimea, accontentare Putin e farla finita con questa storia della resistenza. La logica sottostante a questo atteggiamento non proprio valoroso è la seguente: la resa dell’Ucraina vale la nostra libertà di continuare a vivere al caldo delle comodità acquisite in più di 75 anni di pace.

Anni in cui i paesi dell’Europa occidentale (fra questi, per fortuna, anche l’Italia) hanno potuto godere di libertà, democrazia, prosperità e benessere sotto l’ombrello degli Stati Uniti d’America, proprio mentre i paesi dell’Europa dell’Est, dopo aver subito la tragedia dell’occupazione nazista e della seconda guerra mondiale, hanno dovuto sottostare anche al giogo dell’Unione Sovietica. Sappiamo cosa è successo in Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia quando i governi locali hanno cercato di alzare un po’ la testa in cerca di libertà. Ma le “operazioni militari speciali” condotte dall’Urss contro i suoi vicini a sovranità limitata o contro il suo stesso popolo (compresi i kulaki ucraini) non ci hanno mai riguardato. Nel 1989, però, la caduta del muro di Berlino ha suonato il “liberi tutti” per i paesi europei orientali. Nel giro di pochi anni, non soltanto sono fuggiti dalle grinfie dell’orso russo, ma hanno cercato una loro identità nell’Unione europea o nell’Alleanza atlantica o, addirittura, in tutti e due. Pertanto, non bisogna stupirsi se l’Ucraina, senza le stesse protezioni (Ue e Nato), sia oggi la vittima sacrificale del risveglio imperiale della Russia. L’Europa, insomma, ha goduto per anni della pace: dal 45 quella occidentale, dall’89 la gran parte di quella orientale. L’Ucraina è l’amica sfigata che è rimasta fuori dalla porta. Possiamo ancora tenerla fuori? Per di più, con la probabilità alta che prima o poi la Russia venga a sfondare quella porta attaccando anche i membri dell’Ue? E noi italiani possiamo pensare di continuare a trastullarci nelle nostre certezze – per esempio la dipendenza dal gas russo – senza subirne le conseguenze in termini di sicurezza (che è la base necessaria per continuare a fare business)? Il patto redditizio sul quale abbiamo campato per anni – libertà, commerci, benessere in cambio di schiavitù e miseria degli europei dell’est, in primis gli ucraini – può essere rinnovato? La risposta è semplice: No. Se l’Italia è un paese serio deve rendersi conto di quello che è: la settima potenza economica mondiale e la seconda potenza manifatturiera d’Europa. Non possiamo più autocommiserarci o vivere da parassiti. L’oriente europeo ci chiede un po’ di responsabilità.

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