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di Umberto Minopoli

 

Sta per chiudersi l’anno più critico del dopoguerra italiano. L’Italia rientra nella recessione. E torna alla mediocrità della decrescita.

 

L’anno più critico del dopoguerra italiano

a) Nel paese è stato accantonato, con il referendum del 2016, qualunque disegno di riforma delle istituzioni.

b) Su tante cose il biennio alle spalle ha avviato, anzi, controriforme (scuola, mercato del lavoro, giustizia). Tutte col segno della mediocrità, del corporativismo, del ritorno alle tare storiche e meschine dei difetti italiani.

c) Ora il gambero (l’Italia che da 2 anni marcia all’indietro), nella miopia generale, sta per compiere un altro balzo: concedere l’autonomia, egoistica e solo monetaria, alle tre regioni più ricche. Senza un disegno complessivo, senza una Camera delle Regioni e senza un quadro di sviluppo unitario del paese.

d) Il paese è finito nella mani di una maggioranza impresentabile: per profilo, standing, autorevolezza internazionale, competenza. Abbiamo il peggior governo della storia italiana. Ma anche quello che non lascia intravedere una alternativa.

e) Abbiamo infatti anche l’opposizione più inconsistente della storia italiana. E ci siamo dati una legge elettorale che impedisce ogni possibilità di alternativa.

 

I responsabili del rovesciamento del tentativo riformista

È un quadro cupo e impotente. Di cui, un giorno, la storia chiederà conto a quei politici mediocri, vecchi, usurati che per vanità, odio personale e presunzione hanno avallato il rovesciamento di un tentativo: quello del 2013/2016 di tentare delle riforme e di rimettere l’Italia sul terreno della crescita economica ( che non conosciamo più da oltre 20 anni).

I vecchi fossili politici italiani hanno bloccato questo tentativo con la complicità, l’aiuto consapevole di una fetta consistente di classe dirigente (imprenditori, giornalisti, burocrati pubblici, intellettuali, ecc.) che hanno braccato un governo e un quadro politico che stavano riuscendo a normalizzare l’Italia: l’economia riprendeva, i conti pubblici erano sotto controllo, con l’Europa ci si confrontava senza umiliazioni e cappelli in mano, si tentavano riforme.

La classe dirigente italiana, insieme ai vecchi signori del declino italiano (terrorizzati dalla rottamazione) hanno coltivato, titillato e foraggiato l’avvento del “governo del cambiamento”.

Con l’operazione politica più gattopardesca della storia italiana: tutto cambia perché nulla deve cambiare. Il potere è stato consegnato nelle mani di giovani pagliacci, partiti senza vere strategie, incompetenti col miraggio di farsi statisti. In soli 6 mesi la classe dirigente e gli elettori illusi di quei partiti hanno potuto misurare la frittata fatta. E – lo sappiamo – è già scritto che nel 2019 si abbatterà il conto della dissennata politica economica di questo governo.

 

L’harakiri del 4 marzo 2018

Molti si sono pentiti. È oggettiva la fregatura che ci siamo dati il 4 marzo, l’atto di harakiri che abbiamo compiuto. Come negli incubi di tutte le vecchie democrazie, il paese si fa male da solo, entra nel declino con un auto-da-fè: abbiamo dato noi, col nostro voto, l’occasione a un gruppo di giovani cialtroni di ucciderci.

Non l’ammetterà mai la classe dirigente più idiota e mediocre dell’Italia del 2018. Lo dirà la storia, forse, ai nostri figli. E dirà pure che un gruppo di piccoli uomini, i dirigenti del Pd, nel momento in cui si trattava di rialzare la testa e gridare: “avete visto? vi accorgete della differenza tra noi e questi?” ha invece pugnalato i suoi simboli e ha chiesto scusa per quello che avevano tentato tra il 2013 e il 2016. Zombie, suicidi, mediocri con l’ascisse. Da sperare solo che Dio li fulmini.

 

2019: non serve la nostalgia ma l’impegno

Sono troppo vecchio per credere alle fate: il 2013/2016 (la parentesi delle illusioni per me, vecchio riformista) non tornerà. Il mio paese si è avviato sul cammino del declino. E’ quando avverti che, per il resto del mondo, sei non più una soluzione ma sei ridiventato un problema.

Con la nostalgia non si va, purtroppo, da nessuna parte. Io ne ho del triennio di Matteo Renzi. Ma so che non serve. E, anche questa è una lezione per i nuovi politici italiani, lo sa lui e l’ha detto. Tirandosi fuori. Ora che, forse, la prova dei fatti del governo fellone, gli avrebbe potuto restituire un po’ di verità, di riconoscimento, di gratitudine, di giustizia e di onore. Ma Renzi è giovane preparato e brillante. E, motivatamente ambizioso. Ha stoffa. Sa di avere il tempo. Gli faccio i miei auguri.

Molti di noi, però, hanno la fretta dei vecchi e di chi deve lasciare il meglio ai propri figli. Perciò, nonostante tutto, buttiamoci nel 2019 per interrompere questo buio. Auguri ai miei amici. E, forse, col nostro impegno, “un Dio ci salverà”. È l’augurio più bello: quello con cui i nostri padri riuscirono a ribaltare le notte europea nel 1945. Buon 2019.

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1 Commenti

  1. mario mazzola lunedì 31 Dicembre 2018

    Nitido. Limpido. A mio parere, assolutamente vero.

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