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L’Ucraina e la stanchezza dell’Occidente

Umberto Ranieri venerdì 15 Dicembre 2023
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di Umberto Ranieri

 

L’attacco di Hamas e la guerra di Gaza hanno deviato l’attenzione politica e mediatica dell’Occidente dall’Ucraina. Era la crisi di cui Putin aveva bisogno. 

A quasi due anni dalla aggressione russa, sul piano militare la situazione è di sostanziale stallo, la controffensiva ucraina non avanza e sembra crescere la stanchezza delle opinioni pubbliche occidentali dinanzi al costo della solidarietà. Si approssima l’inverno, le temperature sono già scese più volte sotto lo zero, l’Ucraina si aspetta una moltiplicazione di attacchi con missili e droni contro le infrastrutture energetiche, la rete elettrica e gli impianti di teleriscaldamento. Attacchi che lascerebbero la popolazione senza elettricità, riscaldamento, forniture di acqua potabile.

Gli ucraini sono riusciti a battersi contro una invasione che aveva portato i carri armati fin dentro la periferia della capitale, hanno resistito e inferto pesanti perdite agli aggressori. A due anni dall’inizio della aggressione la Russia non ha piegato la resistenza del popolo ucraino nonostante l’apporto relativamente modesto delle forniture militari occidentali e la brutalità degli aggressori tra cui spiccano mercenari e detenuti assoldati nell’esercito russo, responsabili di efferatezze e brutalità verso le popolazioni civili e i prigionieri.

La capacità di resistenza dell’Ucraina tuttavia non può essere data per scontata senza gli aiuti da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. Tra Congresso bloccato negli Stati Uniti e veti di Victor Orban dentro l’Unione europea gli impegni a sostenere l’Ucraina rischiano di non trasformarsi in fatti concreti. Intanto la Russia ha convertito un terzo della economia alla guerra e raddoppiato la spesa in armi portandola a 112 miliardi di euro. Non solo. La teocrazia sciita di Teheran e la Corea del Nord svolgono ormai un ruolo chiave nella guerra lanciata da Putin nel 2022 contro l’Ucraina fornendo all’esercito russo armi e munizioni.

Di fronte a tutto ciò, lo sforzo dell’Occidente appare lento e scoordinato.  Kiev ha ricevuto da tutti i Paesi dell’Unione europea messi assieme meno munizioni per l’artiglieria di quante il dittatore nord coreano Kim Jong Un ne abbia spedito a Putin negli ultimi due mesi. Il calcolo di Putin è guadagnare tempo, l’autocrate russo attende che la “stanchezza occidentale” si manifesti e soprattutto che “il suo candidato” nella corsa alla Casa bianca, Donald Trump, si affermi.  In quel caso ritiene di poter concludere la guerra in Ucraina alle proprie condizioni, ma soprattutto di veder realizzato l’obiettivo perseguito vanamente per decenni dall’Urss: lacerare le relazioni tra Europa e Stati Uniti.

La Russia di Putin ha accentuato i tratti di un regime dispotico, autoritario e illiberale: lo caratterizzano l’antioccidentalismo e la chiusura alla libertà. Tutte le istituzioni sotto un unico controllo, gli oppositori in galera, una società dove l’assenza completa di dibattito pubblico mette il destino di tutti nelle mani di pochi autocrati. Con elezioni blindate dal potere si prepara l’apoteosi elettorale per l’ex ufficiale del KGB Vladimir Putin al quinto mandato. 

L’episodio della rivolta minacciata e poi mancata della Wagner, di questa unità militare di mercenari che ha messo a dura prova il potere di Putin -che poi ha provveduto a far saltare in aria il loro capo storico- è l’ennesima riprova del primitivismo dei rapporti tra i poteri in Russia, ne fornisce la essenziale fisionomia politica a conferma, come scrive Biagio de Giovanni, del primitivismo delle autocrazie di fronte alla complessità delle democrazie.

C’è da augurarsi che le classi dirigenti dell’Occidente non smarriscano le conseguenze che avrebbe la vittoria di tale entità statale. Darebbe un colpo mortale alla Nato e lascerebbe indifesi gli Stati di confine, il perpetuo oggetto di desiderio della Russia. Se la Russia non sarà fermata in Ucraina, non si fermerà. La vittoria di Putin condurrebbe ad un rafforzamento e una espansione di un regime violentemente autocratico in una fase della storia del mondo in cui lo scontro tra autocrazie e democrazie sta assumendo una dimensione decisiva. La pressione russa arriva dall’Est, ma arriverà presto anche dal Sud. Sono in gioco, “oltre che il controllo del Mediterraneo, anche quello di materie prime, opportunità di mercato, risorse energetiche. Per non parlare del fatto che una Russia insediata in luoghi strategici dell’Africa, del Medio e Vicino Oriente, può ricattare e destabilizzare l’Europa mediante la gestione politica dei fluissi migratori”.

Ecco perché occorre che non si interrompa il sostegno militare agli ucraini da parte degli Stati Uniti e della Europa. Questo ovviamente sempre che almeno la nostra libertà ci stia ancora a cuore perché, come scrive Vittorio Emanuele Parsi, la strada della resa e del disonore rimane sempre spalancata dinanzi a noi, ovviamente camuffata con nobili appelli alla pace: dei vinti e degli schiavi.

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