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di Giovanni Cominelli

 

L’”invasione” africana

E’ giustificato l’allarme per “l’invasione” dell’Italia e dell’Europa dei migranti africani? Sì! La demografia è implacabile. L’Africa avrà, nel 2050, 2,5 miliardi di abitanti.

Un Gruppo di lavoro, istituito all’interno della Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) ha condotto una ricerca, diretta dal prof. Giancarlo Blangiardo.

Da questa risulta che, secondo un modello previsionale A, i flussi migratori dall’Africa all’UE sono stimabili per circa un decennio ancora attorno alle 350 mila unità annue, con un successivo rialzo a 380 mila tra il 2026 e il 2030.

Secondo un modello B, il flusso medio annuo è stimabile fino al quinquennio 2021-2025 in poco oltre le 300 mila unità annue, con un aumento a quasi 330 mila tra il 2026 e il 2030.

Secondo entrambe le ipotesi, la pressione di cittadini dal Nord dell’Africa verso l’UE andrà riducendosi nel tempo, mentre aumenterà – per più di quanto serva a compensarne gli effetti – quella delle provenienze dal Centro-sud continentale.

Diversamente dalle invasioni storiche venute da Est, già a partire dalla seconda metà del ‘300 dopo Cristo – che, tuttavia gli storici tedeschi preferiscono definire più pudicamente Völkerwanderungen (migrazioni di popoli) – e di quelle venute dal Sud, l’attuale invasione africana non è armata. Ma non perciò è meno traumatica sul piano sociale, culturale e politico dei Paesi di arrivo, qualora non venga governata.

Finora, esiste “un governo” del passaggio alle nostre sponde, fatto da due entità: i trafficanti e le ong. Al costo di una somma tra i 500 e i 2.000 dollari/Euro, i recruteurs (i reclutatori), usualmente connazionali dei migranti, contattano la rete di persone che ospiteranno e porteranno il clandestino al luogo di imbarco. Tocca ai passeur (i trafficanti) trasferirlo al punto di partenza, dove alloggia per qualche giorno prima di imbarcarsi.

Inchieste e cronache parlano di lager libici, legali e illegali, sempre infernali, dove uomini, donne e bambini sono sequestrati illegalmente e fatti oggetto di torture, ricatti, stupri e assassini. Le tribù libiche hanno trasformato in lucroso traffico di esseri umani il passaggio dei migranti. Una volta imbarcati su nave o gommone, allontanatisi di poche miglia dalla costa, fuori dal controllo della Guardia Costiera libica, arrivano, assai spesso, le navi delle ong.

Chiamate dai passeur? dagli immigrati stessi? da Google? Quel che è certo che le ong, quali che siano le loro migliori intenzioni umanitarie, sono divenute un anello della catena dell’immigrazione illegale. I migranti partirebbero dal paese d’origine o dal suolo libico, se non avessero la certezza che qualcuno li andrà a raccogliere in mare per portarli al porto più vicino, che, per forze di cose, è o Malta o l’Italia?

 

La catena del buongoverno dell’immigrazione

Alla catena perversa dell’immigrazione illegale e omicida occorre sostituire una catena buona, fatta di quattro anelli.

Il primo: porti chiusi.

Chi si mette in movimento dall’Africa deve sapere – e lo sa – che non è possibile entrare in Italia e in Europa senza permesso, cioè senza essere chiamati. Chi arriva, sempre che riesca a scampare all’inferno libico e all’annegamento nel Mediterraneo, sa che sarà internato in uno dei vari Centri per gli immigrati. Lì sarà sottoposto ad una lunga verifica, che può durare anche due anni, al termine della quale potrà o essere accettato o essere respinto. In genere, nel frattempo, più d’uno sprofonda nella clandestinità.

Il secondo: centri di formazione e reclutamento.

In attesa che decolli il più volte evocato Piano Marshall europeo per l’Africa – ma intanto Stati come la Cina e imprese multinazionali europee, americane e di tutto il mondo stanno procedendo all’acquisto a poco prezzo di interi territori africani, con la complicità di classi dirigenti locali corrotte e criminali -; in attesa che la parola d’ordine “Aiutiamoli a casa loro!” esca dalla retorica e prima che la casa non sia più loro, le imprese italiane, che hanno un deficit crescente di manodopera, possono istituire, magari con la collaborazione delle ONG, Centri di formazione delle competenze professionali e di reclutamento nei Paesi di origine, dove si insegnino anche la lingua, la storia, la Costituzione del nostro Paese. Le ONG potrebbero più utilmente utilizzare i propri fondi per questa attività piuttosto che diventare anelli oggettivi del traffico di essere umani lungo le rotte del Mediterraneo. Si tratta, insomma, di costruire canali legali di immigrazione.

Il terzo è quello della Sanatoria 2019.

Nel nostro Paese si trovano, secondo calcoli realistici, circa600 mila clandestini. Parte di loro sono veri e propri schiavi, in condizioni abitative e sanitarie indegne, pagati 1 euro all’ora, sia che raccolgano pomodori sia che confezionino pizze sia che facciano i riders di Amazon. Sono odiati dai più poveri e disoccupati degli Italiani, perché funzionano da “esercito industriale di riserva” direbbe Marx, che tiene bassi i salari. Parte sono stati assorbiti dalla criminalità organizzata, che gestisce il traffico di droga e la prostituzione. La mafia nigeriana o senegalese sta confliggendo/alleandosi con la ‘ndrangheta nelle città principali del Paese. Una parte vive di accattonaggio, di piccola criminalità e di espedienti ai limiti della legalità. Gli Italiani non temono minacce ai sacri confini da parte dei 51 immigrati arrivati qualche giorno fa, hanno paura dei clandestini di oggi e di domani. Pertanto è arrivata l’ora di far emergere, in maniera completa, questo mondo sommerso, attraverso criteri di legalizzazione esigenti.

Il quarto anello è l’integrazione.

I luoghi dove si sta già realizzando sono la scuola e il lavoro. La scuola sta funzionando come luogo privilegiato e straordinariamente efficace. Quanto al lavoro, occorrono interventi repressivi severi contro le aree criminogene del mercato, a partire dal caporalato nelle campagne. Nella società civile, poi, agiscono già egregiamente le associazioni, il volontariato, le parrocchie, i partiti, non tutti. L’impresa comune è fare gli Italiani e gli Europei di domani. L’immigrazione non è, come mostra di credere Salvini, solo un paragrafo del capitolo della difesa dei confini nazionali e della sicurezza interna.
La condizione perché questa catena sia “buona” è che gli anelli siano collegati, dal primo all’ultimo. Il primo, da solo, non basta; ma neppure l’ultimo.

 

La sanatoria e che sia davvero l’ultima!

Quanto alla sanatoria, si presta ad un’obiezione fondata: sarà l’ultima?

La parola stessa evoca una lunga accumulazione di inadempienze politico-amministrative, cui, infine, si rimedia “all’italiana”. Ogni sanatoria viene annunciata come l’ultima, ma in realtà è sempre “penultima”. Se consideriamo gli ultimi trent’anni, ad ogni legge sull’immigrazione è sempre seguita una sanatoria.

È accaduto nel 1986 con la legge n. 943 del 30 dicembre, nel 1990 con la legge n. 30 di Martelli, nel 1995, con il Decreto Dini n. 489 del 18 novembre, nel 1998 con la Legge n. 40 Turco-Napolitano, nel 2002 con la Legge Bossi-Fini n. 189 del 30 luglio, nel 2009 con la Legge Maroni del 15 luglio, nel 2009 con la Legge del 30 settembre per Colf e badanti.

Tuttavia il metodo della sanatoria non è un’esclusiva italiana. Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 la Germania adottò una regolarizzazione istantanea degli italiani immigrati irregolarmente. La Francia sanò con provvedimenti individuali la posizione di quasi un milione di persone nel decennio tra il 1960 e il 1969. Operazioni analoghe, anche più pesanti, hanno fatto in tempi diversi la Spagna, il Portogallo, la Grecia. Il fenomeno dell’immigrazione ha sorpreso impreparate le società nazionali europee e le loro classi dirigenti.

Dopo trent’anni, la sorpresa dovrebbe essere svanita e gli Italiani/Europei dovrebbero aver imparato a collocare le questioni nazionali nelle correnti della globalizzazione. Dunque, che sia l’ultima!

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