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Morando, proporzionale vs maggioritario, Draghi

Michele Salvati martedì 1 Marzo 2022
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di Michele Salvati e Claudio Petruccioli

(Enrico Morando è il presidente di Libertà Eguale, della quale sono membro sin da quando fu fondata, più di vent’anni fa. Non mi ha convinto il suo intervento su Il Foglio del 23 febbraio, ripubblicato con diverso titolo sul sito dell’Associazione due giorni dopo (“Oltre la rassegnazione dei riformisti”). Siccome tratta di questioni importanti per una strategia riformista nelle prossime elezioni politiche, gli chiedo alcuni chiarimentii. Ho fatto leggere questo testo a Claudio Petruccioli che si è dichiarato d’accordo e mi ha chiesto di aggiungere la sua firma, cosa che faccio volentieri. Michele Salvati)

 

L’intervento di Morando parte imputando al PD una strategia “rassegnata”: andare al voto premettendo una riforma che elimini il maggioritario previsto dalla legge Rosato per un terzo dei collegi, il che potrebbe condurre all’impossibilità di ritrovare in Parlamento maggioranza e minoranze politicamente omogenee. In questo caso sarebbe possibile chiedere a Draghi di dar vita ad un nuovo governo di larghe intese, sostenuto sia da forze politiche di destra che di sinistra. In tal modo il PD potrebbe continuare ad essere “il partito del sistema, presente in ogni coalizione di governo, a garanzia dell’ancoraggio all’Europa, all’atlantismo e al principio di realtà”.

A questa strategia Morando contrappone un’altra, sicuramente più “coraggiosa”, ma anche più rischiosa: quella di assumersi in pieno gli oneri della tanto conclamata “vocazione maggioritaria”, rivolgendosi agli elettori “con fiducia nella loro capacità di comprendere una proposta che non accetti di schiacciarsi sul quotidiano ma guardi alla soluzione dei grandi nodi che frenano la nostra crescita”. E questo attraverso un “governo riformista dotato della legittimazione e della forza che deriva dalla consapevole scelta degli elettori per un programma ed una leadership formatisi prima del voto”. Dunque, data la presumibile distribuzione dei consensi elettorali, un governo sostenuto da una coalizione, che possa essere premiata dal successo anche in quel terzo di seggi maggioritari che la legge Rosato prevede.

In questo ragionamento ci sono passaggi che condivido ed altri che mi lasciano perplesso, se li ho capiti. E’ vero che una strategia che si affidi alla ripetizione della straordinaria scelta di Draghi da parte di Mattarella non è facilmente ripetibile in condizioni mutate. Ha perso attrattiva per gli elettori orientati a sinistra e provocherebbe un forte rigetto da parte della destra, se venisse percepita come un espediente per sottrarle una tanto sospirata vittoria. Ed è vero che il processo di “romanizzazione dei barbari” è andato avanti, soprattutto in conseguenza del coinvolgimento di alcuni di essi nel governo e mostrando loro che cosa vuol dire riformismo efficace. Mi sarei però aspettato un’analisi più approfondita sulla possibilità di far passare, in questo scorcio di legislatura, una legge proporzionale, da cui dipende sia una realistica giustificazione della strategia “rassegnata” attribuita al PD, sia il confronto con la strategia “coraggiosa” suggerita da Morando

Se si ritiene impossibile (o sbagliato) modificare la legge elettorale -ad esempio sulla falsariga di quella tedesca- che possibilità ci sono di ottenere un esito favorevole per il centrosinistra riformista e soprattutto per il paese? (il mio punto di vista è soprattutto quest’ultimo). Perché i casi sono due. O il PD marcerà da solo o con alleati minori, così tenendo fede a un messaggio di identità riformista vera (e probabilmente impopolare) nel rispondere alle urgenze drammatiche che si porranno in un contesto di turbolenze internazionali, di inflazione e di difficoltà economiche. Oppure dovrà allearsi con forze che probabilmente altereranno il suo messaggio, come sempre avviene con le coalizioni fatte per vincere e non per governare. E in questo gioco le forze di centrodestra sono assai più allenate e robuste di quelle di centrosinistra.

Mi ha sorpreso soprattutto il fatto che Morando non menzioni mai i 5 Stelle, la galassia dalla quale potrebbero provenire forze che irrobustiscano la coalizione riformista: dà forse per scontata una convincente egemonia del PD su di esse? Non considera le perdite che la coalizione subirebbe nei confronti di quei partiti minori (Azione, soprattutto, ma anche Italia Viva) cui giustamente fa riferimento nel circoscrivere il fronte riformista? La realtà è che, se Morando vuol mettere alla prova la “vocazione maggioritaria” del PD (misurata in democrazia dal consenso effettivo che un partito ottiene in una competizione onesta), un sistema elettorale proporzionale costituisce il contesto migliore: un contesto di level playing field in cui tutti i singoli partiti debbono giocare. Nel quale, oltretutto, è possibile misurare se e in quale misura l’esperienza del governo Draghi ha “romanizzato i barbari” che vi hanno partecipato (tra cui anche il PD: uso l’espressione di Giovanni Orsina senza offesa per nessuno). Se si vuole misurare questo consenso, cioè una vocazione maggioritaria riconosciuta dagli elettori, non conviene allora modificare la legge elettorale? E’ veramente impossibile ottenere una sua modifica in senso proporzionale? Sarebbe opportuno farlo?

Premetto ciò che è ovvio: anch’io trovo sbagliati e dannosi cambiamenti frequenti nelle leggi elettorali, soprattutto se motivati in modo opportunistico. Nelle condizioni in cui siamo, il cambiamento non avrebbe questa motivazione: se due o più partiti trovano nei loro programmi elettorali la ragione per una alleanza di governo, dopo le elezioni sono liberi di farla. Non sarebbero gli elettori a “scegliere il governo”, è vero. Ma a questo presunto vantaggio del maggioritario ho sempre creduto poco in un sistema politico frammentato come il nostro. E non si tratterebbe di un espediente per sottrarre al Centrodestra una vittoria inseguita a lungo e che sembrava, fino a ieri, a portata di mano. Dato l’inasprirsi della situazione internazionale, l’imminenza di nuovi sacrifici per un popolo che già tanti ne ha subiti con il Covid, la volatilità dei consensi elettorali, tutti i partiti sono sotto un velo d’ignoranza e i loro vecchi programmi sono diventati sempre meno credibili. Non sarebbe il caso che li riformulassero alla luce della situazione presente e chiedere ai cittadini, per ogni singolo partito, quale programma sembri loro più credibile e rassicurante? Questo è possibile farlo solo con una legge proporzionale, in cui ogni partito si presenta da solo, a meno che non sia disposto a fondersi (non solo ad allearsi) con altre forze politiche e così dar vita a un nuovo soggetto politico.

Tra gli indirizzi programmatici entro i quali i cittadini dovrebbero scegliere ci potrebbe essere anche quello che prevede ancora una presenza di Draghi come Presidente del consiglio. L’emergenza non è finita con l’attenuarsi della pandemia, ha solo cambiato forma: quella nuova (guerra in Europa e conseguenze per l’Italia) è ancora più drammatica della precedente e richiede ancora un grande sforzo di unità nazionale. Quando si porrà il problema, e sarà presto, sarebbe bene che lo stesso Draghi riformulasse il suo programma alla luce della drammatica situazione in cui il paese e l’Europa si troveranno. Ma in sostanza il programma di Draghi già lo conosciamo: nessuna affiliazione esplicita ad un partito politico e nessuna intenzione di fondarne uno nuovo; rispetto delle condizioni previste per l’attuazione del PNRR; un orientamento riformatore nei confronti dell’Europa e il suo troppo lento procedere verso un’Unione federale; fedeltà all’alleanza atlantica ma anche grande attenzione alla situazione del nostro paese e dei suoi ceti più deboli. E, soprattutto, nessuna discriminazione basata sugli schieramenti del passato: tutti i partiti che accettino credibilmente (insisto, credibilmente) i punti programmatici che ho sommariamente ricordato sarebbero benvenuti nella coalizione di governo.

Ma non è questo ciò che vorrebbe anche LibertàEguale? Non apre la possibilità di iniziare un reset del nostro sistema partitico che ci conduca all’eliminazione dei residui (residui?) populisti e sovranisti in esso presenti e all’emergenza di più mature formazioni di centrodestra e centrosinistra? Formazioni che condividano i principi base di un assetto liberal-democratico e che fondino le loro proposte di policy su analisi meditate della situazione interna e internazionale? Non c’è alcun rischio di “pensiero unico”: anche in queste condizioni ideali, ragioni di conflitto tra orientamenti di sinistra e destra entrambi liberaldemocratici si porranno in continuazione, se non altro per l’incertezza che avvolge le conoscenze umane e le previsioni del futuro quando sono valutate alla luce di diverse concezioni ideologiche e valoriali.

 

Due postille. Vocazione maggioritaria e Riforme istituzionali

1- Sono il primo a rendermi conto che queste considerazioni non convinceranno la Lega e che, in conseguenza, una riforma della legge elettorale in senso proporzionale non si farà in questa legislatura. (A meno di eventi straordinari, come la fusione di Lega e Forza Italia in un unico e credibile soggetto politico, e forse neppure in questo caso). Credo, dunque, che il centrosinistra debba fare buon viso a cattivo gioco e mettere in conto ad una probabile sconfitta. E che l’Italia -ciò che è assai più drammatico nelle attuali circostanze- debba rassegnarsi alla perdita di Draghi nella prossima legislatura: non esistono dei “simil-Draghi”!! Non vedo però perché il PD debba consolarsi ricorrendo al vecchio totem della “vocazione maggioritaria”.

Se questa è intesa come una visione politica e soprattutto come un programma di governo per il paese nel caso che i consensi elettorali consentissero a un partito di governare da solo, ogni partito dovrebbe averla, comunicarla agli elettori e attendere il loro responso. Un accenno a questo possibile programma lo fa anche Morando quando si riferisce -l’abbiamo già citato- alla “capacità degli elettori di comprendere e sostenere una proposta che non accetti di schiacciarsi sul quotidiano ma guardi alla soluzione di grandi nodi -da quello demografico a quello ambientale, da quello della qualità del capitale umano a quello di un nuovo equilibrio tra i poteri dello stato- nel medio-lungo periodo, attraverso un vero e proprio ciclo di governo riformista”.

Morando scriveva poco prima dell’invasione dell’Ukraina, ma è del tutto evidente che rispondere alle preoccupazioni degli italiani mediante il riferimento a riforme strutturali di lunghissimo periodo non è un credibile programma di governo, mentre rispondervi mediante un programma che faccia riferimento alla situazione in cui ci troveremo nei prossimi mesi e anni non è “schiacciarsi sul quotidiano”: è un esercizio di “vocazione maggioritaria”, se questa espressione ha un senso. Perché non limitarsi a dire che il PD farà il possibile per limitare i danni conseguenti alla possibile vittoria del centrodestra e alla perdita di Draghi?

2- Veniamo alla seconda postilla. Giustamente Morando fa riferimento, quando esemplifica in che cosa consista una vocazione maggioritaria, al tema annoso delle riforme istituzionali-costituzionali. Nel programma elettorale del PD si dovrà essere più specifici. A causa della “riforma ” che ha ridotto di un terzo i membri del Parlamento, la prossima legislatura sarà obbligata a prendere molte decisioni di rilievo costituzionale e con conseguenze sistemiche. Sappiamo tutti che una composizione delle Assemblee che non alteri la rappresentanza proporzionale è più funzionale ad affrontare questo genere di problemi. Non si tratta solo dei pannicelli caldi che si stanno apprestando già adesso: di “impedire” la costituzione di nuovi gruppi parlamentari o di negare le risorse a chi lo fa. Ci sono questioni ben più serie che riguardano la modifica del procedimento legislativo, a partire dalle decisioni di bilancio che, come si è già visto, anche con il Parlamento attuale, hanno vanificato di fatto la “doppia lettura”.  C’è, poi, il problema della stabilità dei governi. Se sperare nella introduzione in Costituzione della sfiducia costruttiva può sembrare eccessivo, sarebbe già un passo avanti – come da più parti si suggerisce – la fiducia ai governi espressa a Camere unificate. Si eviterebbe tra l’altro così che lo spostamento di due/tre senatori risultasse decisivo per la nascita e la caduta dei governi. E si potrebbe continuare ma il punto dovrebbe essere già chiaro: il riferimento alle “grandi riforme” è importante, ma in un programma di governo per la prossima legislatura l’attenzione dovrebbe essere concentrata su quelle che sarà la stessa situazione politica a richiedere con urgenza.

    

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