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Ucraina, arrenditi! Ecco la pace secondo gli intellettuali

Vittorio Ferla martedì 18 Ottobre 2022
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di Vittorio Ferla

 

Domenica scorsa L’Avvenire ha pubblicato un appello di undici intellettuali per la pace, rilanciato poi online da Il Fatto Quotidiano e da La Verità. I firmatari sono personaggi molto noti, provenienti da culture diverse: da Massimo Cacciari a Franco Cardini, da Francesca Izzo a Marcello Veneziani, da Stefano Zamagni e Giuseppe Vacca.

In estrema sintesi, questa singolare associazione di liberi pensatori, nel nome della paura della minaccia nucleare, chiede di fatto la resa senza condizioni dell’Ucraina. Il governo di Kiev dovrebbe lasciare alla Russia la Crimea e il Donbass senza chiedere nulla in cambio al Cremlino. Ma andiamo con ordine.

L’appello esordisce con una premessa ormai sempre più abusata dai cosiddetti pacifisti: lo spauracchio del disastro atomico, presentata come esito inevitabile di questo conflitto, con la certezza della distruzione totale dell’umanità. L’argomento è fallace per due ragioni, di principio e di fatto. Sul piano del principio, impostare in questo modo una trattativa significa dare ragione a priori a chi brandisce l’arma nucleare per ottenere nuovi territori. Decenni di deterrenza atomica sono serviti fino ad oggi proprio per evitate l’affermazione del paese più prepotente (e più dotato sotto il profilo militare) rispetto a quello più debole. Se passasse questo principio con il sacrificio dell’Ucraina e del diritto internazionale significherebbe che, dal giorno dopo, ogni stato in possesso dell’arma atomica sarebbe legittimato a invadere i paesi confinanti senza temere reazioni. Una volta sbranato il sudovest dell’Ucraina perché Putin dovrebbe fermarsi? E nemmeno la conquista di tutto il paese sarebbe sufficiente per assecondare gli appetiti del despota del Cremlino e per garantire l’Europa dal pericolo nucleare. D’altra parte, anche i fatti smentiscono l’idea che il disastro atomico sia l’unico esito possibile. Chi capisce di strategia militare e di questioni diplomatiche – ovviamente, nessuno dei firmatari – sa bene che la probabilità che Putin scateni una guerra atomica contro l’Europa (o, addirittura, contro l’Italia) sono pari alla probabilità che un meteorite faccia esplodere il pianeta domani. Mosca sa benissimo che iniziare un conflitto nucleare nei confini europei esporrebbe se stessa alla medesima certezza di distruzione. Qualcuno potrebbe dire, però, che questo è un ragionamento razionale e che invece il comportamento di Putin è ormai fuori dallo spazio della ragione. Ma se ciò fosse vero allora qualsiasi accordo di pace sarebbe inutile, perché il giorno dopo la follia del capo del Cremlino potrebbe riattivare la minaccia nucleare su un nuovo fronte. Siamo di fronte, insomma, a una forma di terrorismo concettuale che alla lunga indebolirebbe l’Europa senza depotenziare Putin.

Per far fronte a questo messaggio allarmistico, i firmatari si avventurano a “offrire uno scenario credibile per chiudere questo conflitto” che, a loro avviso, “non può avere la vittoria tutta da una parte e la sconfitta tutta dall’altra”. Viceversa, le proposte formulate dagli intellettuali vanno nella direzione esattamente contraria. In primo luogo, perché disegnano uno scenario tutt’altro che “credibile”. Poi, perché suggeriscono soluzioni che conducono alla resa dell’Ucraina e al riconoscimento delle ragioni dell’aggressore. Un po’ come chiese poco tempo fa Silvio Berlusconi, in uno dei suoi momenti di ingenuità calcolata.

I firmatari chiedono nei fatti la cessione alla Russia della Crimea e la creazione di uno status amministrativo autonomo del Donbass – con “la gestione paritaria delle ricchezze minerarie” – che di fatto riconosce le pretese del Cremlino e autorizza la depredazione delle risorse naturali ucraine da parte di Mosca. Per la Crimea sostengono addirittura che essa è “tradizionalmente russa” ed è stata “illegalmente ‘donata’ da Kruscev alla Repubblica Sovietica Ucraina”. In altri termini, restano ancorati al principio della sovranità limitata e alle sfere di competenza della Guerra Fredda. Come se il biennio 1989-1991 non sia mai esistito. E come se il referendum (legale) del 1991 – con il quale l’Ucraina, tutta intera, scelse l’indipendenza dalla Russia – non si fosse mai svolto. Per di più, alle concessioni territoriali e materiali da parte dell’Ucraina non corrisponderebbe alcun corrispettivo della controparte, né alcuna difesa di ciò che resta nella sovranità di Kiev. Alla Russia si chiede soltanto il disimpegno militare. Ma poi chi lo dovrebbe garantire? E soprattutto come si può pensare seriamente alla pace senza una demilitarizzazione delle zone di confine russe? E senza una clausola di sicurezza collettiva verso l’Ucraina? La prima proposta della lista degli intellettuali prevede che l’Ucraina entri nell’Unione europea ma non nella Nato. Una impostazione evidentemente ambigua perché lascia intendere che l’ingresso nella Nato sarebbe una minaccia nei confronti della Russia, ma anche ingenua perché si fa credere che un paese dell’Ue potrebbe essere viceversa lasciato alla mercé dei capricci dell’espansionismo putiniano. Evidentemente gli intellettuali hanno già rimosso la notizia che Svezia e Finlandia hanno chiesto l’ingresso nella Nato, proprio allo scopo di garantire la propria sicurezza nazionale e di fronteggiare la volontà di potenza di Mosca. Come compensazione finale, gli undici campioni della cultura italiana chiudono in gloria con un bel piano di ricostruzione dell’Ucraina. Senza spiegare però chi lo paga né in quali condizioni potrebbe realizzarsi visto che l’Ucraina diventerebbe di fatto un protettorato russo con le conseguenze che tutti possiamo immaginare.

In definitiva, l’appello – che molto bene rappresenta l’antioccidentalismo italiano di destra e di sinistra – appare come un concentrato di proposte bislacche e irrealistiche che ovviamente nessun governo democratico occidentale (compreso il futuro governo italiano) prenderà mai in considerazione. E, aggiungiamo noi, per fortuna. Anche perché ricorda pericolosamente l’appeasement di Monaco del 1938 con il quale le principali potenze europee, Francia e Regno Unito, pensando di lavorare per la pace, dopo l’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista, consegnarono a Hitler pure i Sudeti, i territori germanofoni della Cecoslovacchia. Per quest’ultima fu l’inizio della fine. Dopo il patto di Monaco, Winston Churchill nel discorso indirizzato direttamente al suo Primo Ministro, pronunciò la celebre frase: “Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”. Gli accordi del 1938 non vennero rispettati e l’espansionismo tedesco proseguì. Nel 1939 toccò alla Polonia. Finché, a furia di annessioni e di concessioni territoriali, la Germania divenne un bubbone nel cuore dell’Europa e il continente sprofondò nella seconda guerra mondiale. Come la storia dimostra, insomma, la strategia delle concessioni ai despoti non funziona. Né basta coprire questa folle strategia con il manto della Chiesa cattolica, come fa l’appello strumentalizzando i messaggi di pace del Papa, impegnato nella ricerca di ogni spiraglio per una soluzione diplomatica della crisi. Ma il danno più grave che gli intellettuali ci consegnano tocca proprio la dimensione culturale della questione: raccontare che la pace giusta possa esaurirsi nella resa dell’Ucraina significa far vincere il sonno della ragione.

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