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Come cambia (in peggio) il Parlamento

Stefano Ceccanti sabato 8 Settembre 2018
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di Stefano Ceccanti

 

Dovevo andare a Torino al convegno della Società Italiana di Scienza Politica (Sisp) a dibattere in una tavola rotonda sul parlamento. A causa dei lavori parlamentari sul milleproroghe non potrò andare e allora ho inviato questo testo.

***

 

Mi scuso per l’assenza, ma la Commissione Affari costituzionali è impegnata no stop con la Commissione Bilancio sul cosiddetto decreto milleproroghe.
Partirò proprio da esso per due brevi note sul tema della Tavola rotonda.

 

La funzione legislativa

La prima è sulla funzione legislativa.
Il referendum costituzionale cercava di migliorarla con alcune norme che, al di là delle loro caratteristiche tecniche, cercavano di reprimere la patologia (il peso abnorme della decretazione d’urgenza) non solo mettendo dei limiti, ma soprattutto favorendo la fisiologia (una corsia preferenziale per il Governo in Parlamento), secondo la regolarità delle democrazie parlamentari.

La nuova maggioranza di Governo, viceversa, ha promesso di ridurre quell’anomalia a Costituzione invariata, solo sulla base di una scelta politica, come se quella patologia fosse solo il frutto di una cattiva volontà politica e non l’espressione di una difficoltà di sistema che induce qualsiasi Governo a crearsi una corsia preferenziale surrettizia in mancanza di quella esplicita e ben regolata.

Se noi però pensiamo, anzitutto dal punto di vista qualitativo, ai provvedimenti legislativo di questo Governo che hanno espresso il suo indirizzo politico (anche se i ministri del Governo ci hanno abituato a un indirizzo fatto soprattutto con l’uso dei social) ci vengono in mente solo due decreti: il cosiddetto dignità e l’odierno milleproroghe.

 

Il mille proroghe e la mancata promessa di ridurre il rilievo della decretazione

Quest’ultimo, dal momento che è uno strumento ormai tradizionale, ci consente però anche una verifica quantitativa. La promessa di ridurre il rilievo della decretazione è stata mantenuta oppure no?
Il milleproroghe di quest’anno è partito con 28 commi e nel corso dell’esame al Senato è addirittura triplicato, salendo a 75.
E’ una crescita in linea con la legislatura precedente?
Decisamente no.
I milleproroghe della scorsa legislatura hanno avuto questa crescita:
nel 2013 da 70 a 98 commi;
nel 2014 da 64 a 141;
nel 2015 da 54 a 131;
nel 2016 da 95 a 216.

Per di più nella precedente legislatura, a differenza di quanto sta accadendo in queste ore, i commi non sono mai cresciuti nella seconda Camera d’esame: nel 2013 scesero di uno e negli altri casi venne confermato il testo proveniente dalla prima Camera.
Due record, quindi, niente male, di crescita quantitativa complessiva e di aumento anche nella seconda Camera.

Last but not least mentre negli scorsi si è sempre fatto un solo milleproroghe a fine anno, purtroppo molti temono che l’anticipo di stavolta non significhi affatto che non avremo un altro decreto a dicembre. Quindi avremo con tutta probabilità anche l’innovazione del doppio milleproroghe!

 

Il rapporto fiduciario

Vengo poi al secondo punto, quello del rapporto fiduciario.

Molti credevano che con la conferma del bicameralismo paritario in seguito all’esito referendario e con la regressione proporzionalistica si sarebbe avuta un’evoluzione comunque positiva: anziché nascere con un vincolo popolare il Parlamento avrebbe trovato una sua centralità perché in esso sarebbe sorto ogni Governo, anche quello di inizio legislatura e, senza il valore aggiunto di un’investitura parlamentare sostanzialmente diretta, il lavoro parlamentare avrebbe così trovato una maggiore fluidità evitando una retorica illiberale, che talora si era manifestata, secondo cui tale investitura avrebbe anche legittimato un primato forte della politica, anche superando limiti formali dell’ordinamento.

Ora è evidente a tutti che ciò non si è affatto prodotto. In un sistema con partiti distanti e segnati da un’evidente sfiducia reciproca, la genesi dei Governi non si sposta affatto dal corpo elettorale al Parlamento, ma dagli elettori a confusi accordi extraparlamentari, in cui può persino capitare che chi per Costituzione dovrebbe coordinare il Governo emerga invece alla fine, a programma concordato, solo come suo esecutore.

Nel contesto italiano la rinuncia sul piano nazionale a regole di democrazia governante porta solo a confuse derive assembleari. La democrazia del pubblico senza una struttura forte di incentivi alla stabilità che parta dal ruolo decisivo del corpo elettorale ci espone a gravi rischi.
Per di più, come si è visto, il passaggio parlamentare della fiducia, successivo all’accordo extraparlamentare, non comporta affatto un auto-limite del Governo nel concepire il proprio ruolo. Basti pensare, al di là del merito specifico, alle motivazioni con cui il Ministro Salvini ha reagito all’attivazione della procedura presso il Tribunale dei Ministri, sostenendo che la ragion di Stato legittimerebbe sempre e comunque la violazione delle normative vigenti, al di là della fondatezza o meno delle accuse.

 

 

Un’osservazione inevitabile

Se quindi la domanda di questa tavola rotonda era sui cambiamenti in corso, se essi vi fossero e quali fosse il loro segno, la risposta non piò che essere segnata dalla preoccupazione: se innovazioni vi sono, esse non sembrano migliorare la qualità della nostra vita democratico-parlamentare.

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