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D’Alema sbaglia. L’alleanza strategica tra Pd e M5s è un errore

Umberto Ranieri mercoledì 18 Novembre 2020
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di Umberto Ranieri

 

In una intervista a Umberto De Giovannangeli, (Il Riformista, 31 ottobre) il militante di base di “Articolo 1” Massimo D’Alema sembra fornire all’attuale gruppo dirigente del Pd la piattaforma politica su cui svolgere il congresso. Tre i punti intorno a cui ruota il suo ragionamento: all’intesa tra Pd e grillini va dato un carattere strategico; quella del Pd è una esperienza non riuscita; occorre ricostruire un grande partito della sinistra. A questi punti si accompagna una valutazione del tutto positiva della condotta del governo giallo-rosso. Proviamo a svolgere alcune considerazioni.

1) Nel settembre 2019 “l’avvocato del popolo” tornò a Palazzo Chigi alla guida del governo tra Pd e grillini. L’aspetto positivo dell’esecutivo Conte bis fu il miglioramento del rapporto con l’Unione europea reso possibile da un sostegno di Germania e Francia che avevano temuto gli intendimenti ostili all’euro del governo giallo-verde. Salvare l’Italia da un fallimento che avrebbe compromesso la moneta unica sarà l’obiettivo di Macron e di Angela Merkel. Sulla economia emergerà la debolezza del Conte bis. Nelle stime di crescita per 2020 e 2021 la Commissione europea prevedeva uno sviluppo prossimo allo zero, l’Italia occupava l’ultimo posto dietro Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda. Le cose erano addirittura peggiorate rispetto al precedente esecutivo: per il terzo trimestre del 2019 i dati dell’Istat annunciavano una contrazione del Pil, -0,3%. Con il movimento grillino appariva sempre più difficile orientare il governo del Paese verso politiche in grado di avviare una ripresa dell’economia affrontando i veri nodi: dal debito alla pressione fiscale, dalla produttività alla occupazione.

2) A febbraio del 2020 giunge il Covid. Crolleranno i pilastri del sovranismo e del populismo grillino. Il Covid è un gigantesco problema globale, solo in questa dimensione è possibile combatterlo; la scienza, la tecnica e le competenze, valutate negativamente nella subcultura grillina, appariranno nei mesi del lockdown “le custodi dell’umano, le garanti della sua esistenza”. Non va sottovalutato lo sforzo del governo nell’affrontare la situazione, comprensibile è la necessità, in condizioni di emergenza, di misure severe. Non tutti i diritti fondamentali hanno lo stesso rilievo. Ce n’è uno, quello alla vita, presupposto a tutti gli altri, incluso quello alla libertà. Perché un individuo, scrive Roberto Esposito, possa essere libero, deve intanto rimanere in vita. È una preminenza al contempo logica e storica, che non è possibile ignorare. Dopo il mese di maggio tuttavia, quando si arrestò, con l’avvio della buona stagione, l’aggressività del Covid, il governo, paralizzato da contrasti interni, stenterà ad adottare, sulla scorta dell’esperienza vissuta, misure per contenere le conseguenze dell’innalzamento della curva dei contagi previsto per l’autunno da tutti gli esperti. E siamo alla tormentata situazione di oggi.

 

3) Difficile sostenere che l’intesa politica tra Pd e 5Stelle costituisca una stabile e sicura soluzione di governo per il Paese. La sensazione è che ci sia stata, nel corso di questi mesi, una sorta di rinuncia del Pd al tentativo di dare un segno al governo giallo-rosso. È appena il caso di ricordare il cedimento su punti qualificanti, dalla giustizia a quota 100, dal gigantesco fallimento del reddito di cittadinanza con i suoi navigator al temporeggiare su tutto ciò che ha riguardato l’immigrazione, al rinvio nella utilizzazione del Mes. In quanto al taglio dei parlamentari la condotta del Pd è risultata improvvida. Il “Sì“ poteva avere senso solo in un contesto di riforme che lo alleggerissero del segno demagogico e antipolitico che lo ha connotato dall’inizio. Ma tant’è. L’aspetto più delicato riguarda i caratteri politici, programmatici e culturali dell’asse giallo-rosso. L’esecutivo Conte bis sembra perdere contatti e relazioni con mondi produttivi, allontanarsi da settori moderni della società italiana, da territori propulsivi dell’economia, da generazioni più aperte. L’alleanza tra Pd e 5Stelle assume i caratteri di un blocco politico conservatore. Questo blocco dovrebbe fronteggiare la nuova aggressione del Covid e decidere la produttiva utilizzazione delle risorse europee! Il rischio è che ci si trovi, prima o poi, con molto debito (cattivo) e poca crescita. Sull’altro versante, a un anno dalla svolta di settembre, il centrodestra, modificato nei suoi equilibri interni con il declino di Salvini non più in grado di imporre la legge dell’uomo solo al comando (e l’emergere di Zaia), la crescita di FdI, lo stabilizzarsi di Forza Italia, mantiene nel complesso inalterate le proprie forze. Un anno di alleanza politica tra Pd e 5Stelle non ha modificato i rapporti di forza politici nel Paese. Il reale è sempre più complicato delle costruzioni politiche astratte. Cosa fare?

4) Il Pd non è stato una invenzione estemporanea e contingente, senza futuro. La penso diversamente da D’Alema. Senza il Pd il Paese non avrebbe retto quando l’intreccio tra crisi finanziaria e collasso politico istituzionale sembrava condurre l’Italia al fallimento. Forse aveva ragione Pietro Scoppola che non credeva molto alla formula dei riformismi che si incontrano perché “di riformismo in questo Paese ce ne è stato poco”. In realtà, la fusione tra le culture politiche che diedero vita al Pd si è mostrata un’operazione estremamente complessa. Occorreva spostare in profondità, a livello culturale, il processo di fusione ritrovando un cemento politico ideale in grado di tenere insieme il partito al di là delle differenze inevitabili in una formazione pluralista.

5) Non appare una via d’uscita dai problemi in cui si dibatte il Pd rientrare nell’alveo di esperienze tradizionali, come sembra sostenere D’Alema, quasi bastasse ripristinare abitudini e vecchi modelli per venirne fuori. Così come occorre liberarsi da quella sorta di pigrizia mentale che conduce ad attribuire al neoliberismo selvaggio anche la responsabilità dei problemi in cui versa l’economia italiana. Liberismo in una nazione in cui la spesa pubblica è andata fuori controllo ben prima dell’arrivo del Covid e la pressione fiscale è giunta a livelli insostenibili! Un Paese largamente dominato dalla mano pubblica e dove il sistema industriale nel settore delle grandi imprese, delle banche, delle public utilities e dell’energia è ancora direttamente o indirettamente nelle mani dello Stato, degli enti locali o delle fondazioni bancarie! Il motivo per cui da quasi trent’anni la nostra economia perde terreno rispetto alla media dell’area euro è il cattivo andamento della produttività. All’origine di questo deficit opera, in misura determinante, l’insufficiente provvista di beni collettivi: inadeguatezza dei processi formativi, carenza di infrastrutture materiali e immateriali, arbitrarietà e inefficienza della pubblica amministrazione, aggressione della criminalità, lo stato in cui versa la giustizia. Una politica schiacciata sul breve termine. La gravità dei problemi in cui si dibatte il Paese impone un mutamento di rotta. Investimenti pubblici per infrastrutture materiali e immateriali, crescita del capitale umano, sistema di welfare orientato in senso universalistico, servizi e sostegno alle innovazioni tecnologiche, tassazione efficace e progressiva. Questa la via per rispondere ai problemi che l’Italia affronta nella grande transizione in cui è immersa.

6) Il Pd dovrebbe recuperare il progetto di partito a vocazione maggioritaria: una forza capace di guardare al di là della propria storia, che punti a insediarsi in uno spazio politico più largo del bacino di consenso originario. Che sappia trasmettere l’urgenza di riforme indispensabili a liberare la società italiana dai vincoli corporativi che ne frenano la crescita, rallentano la concorrenza e, alla fine dei conti, impediscono una sana mobilità sociale e quindi una vera uguaglianza tra i cittadini. Vocazione maggioritaria comporta coraggiose innovazioni nella cultura politica del Pd. Quell’insieme di idee condivise che permette di orientarsi in una realtà sociale sempre più complessa e di elaborare un progetto politico capace di mobilitare forze, intelligenze, passioni. Una cultura politica che si manifesti attraverso due tonalità: quella liberale, del riconoscimento dei meriti e dell’uguaglianza delle opportunità per le persone; quella socialista incentrata sull’idea di equità sociale e sulla riduzione delle diseguaglianze.

Ragionando così la sinistra fa propri i tratti di quel liberalismo progressista che si batte perché i meriti e i talenti siano riconosciuti e sia permesso a tutti di raggiungere un tenore di vita adeguato. Superata l’emergenza dell’aggressivo ritorno del Covid, sono questi i temi su cui aprire un confronto nel Pd. Mi auguro si affermi una linea che contrasti nettamente l’idea di trasformare una intesa con il grillismo, frutto di uno stato di necessità, in un accordo strategico e di lungo periodo con una forza senza tradizione né cultura, che, chiamata a compiti di governo, ha mostrato la propria inettitudine. Credo ci siano nel Pd energie riformiste disponibili a battersi. Occorre che tornino in campo.

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