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Governo Conte 2: ricordarsi di staccare la spina

Giorgio Armillei mercoledì 4 Settembre 2019
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di Giorgio Armillei

 

La maggioranza si forma e il governo si farà, nonostante i tanti mal di pancia e lo scetticismo di chi sembra non dare il giusto peso a cause e logica di questo nuovo governo. Un governo che non nasce per il sinistrismo di Zingaretti, per i complotti o per l’intesa da sempre sottotraccia tra PD e M5s. Un governo che invece nasce perché siamo fino in fondo un pezzo (importante) dell’Unione europea e questa Unione è un pezzo del nostro sistema di governo. Si chiama europeizzazione delle politiche nazionali. Europeizzazione della politics e delle policy: in un sistema di governo policentrico e multilivello non esistono confini.

Riavvolgiamo velocemente il nastro. I partiti europeisti vincono le elezioni per il parlamento europeo, si forma una maggioranza Macron-Merkel più pezzi (di scorta) di PSE, per Salvini e i sovranisti – sconfitti a livello europeo – le cose si mettono male. Non si tratta di lobby europee, si tratta dell’elettorato europeo: nonostante Brexit, Orban e l’AFD nei Lander dell’est. Macron-Merkel vanno avanti nella direzione indicata e Ursula von der Leyen diventa presidente della Commissione europea. Il M5s, a caccia disperata di alleati che lo guardano come appestato – citofonare gilet jaune, ammiccamenti filorussi e madurismo a singhiozzo – si aggancia. Non conta nulla ma c’è. Al contrario di Salvini che si installa felice nel gruppo dei nazionalsovranisti con RN francese, AfD tedesca e altri. Non conta nulla, in barba alla rumorosa campagna elettorale, e non c’è.

Non solo. Salvini commette un errore colossale: pensa di chiamare le elezioni anticipate come se fosse il primo ministro nel sistema inglese pre Cameron. E invece è nell’Italia parlamentare e proporzionalistica che lui stesso ha voluto il 4 dicembre 2016. Conta su un alleato – Zingaretti – che vorrebbe diventare il capo dell’opposizione al sovranismo, liquidando in un colpo solo il M5s e il PD renziano. Renzi approfitta dell’errore e spariglia, ben consapevole della diga Van der Leyen. Il M5s ci deve stare per non morire, Zingaretti ci deve stare perché l’accordo con il M5s è da sempre nelle sue corde. Questa volta è Renzi che liquida in un colpo solo una futura quasi certa maggioranza salviniana e una altrettanto futura opposizione corbyniana a quella maggioranza.

Un colpo di puro tatticismo: tutta politics e niente policy. Per centrare l’obiettivo Renzi deve però mettere il PD in condizione di fare qualcosa con il M5s: altrimenti si finisce con l’andare al voto con le conseguenze che si vogliono invece evitare. Una maggioranza salviniana e un’opposizione corbyniana non è tollerabile nel quadro politico dell’Unione di Macron-Merkel e annessi. Mattarella ci sta. È questo il triangolo che fissa i paletti: siamo nell’Unione e l’Unione conta. Solo i sovranisti possono ancora pensare che si tratti di un’invasione di campo.

Ma cosa fare esattamente con il M5s? Qui si apre il primo interrogativo. Un governo istituzionale di neutralizzazione (degli errori del governo gialloverde) che faccia la legge di bilancio stando dentro il quadro della governance economica europea, sia aperto al voto parlamentare di chi ci vuole stare – anche se parte con l’appoggio sicuro di PD e M5s – e approvi la riforma del numero dei parlamentari con annesse correzioni? Un monocolore M5s appoggiato dall’esterno dal PD per fare le stesse cose? Un governo organico – come si usa dire – tra M5s e PD che, prendendo atto nello stesso tempo dei rapporti di forza stabiliti dal voto europeo e da quelli certificati dalle elezioni del 2018, si impegni nel medio periodo, sicuramente fino all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, secondo uno stabile programma di lavoro?

La risultante delle forze in campo sta generando una quarta cosa. E dunque quello che nasce è un governo mezzo politico e mezzo no che non si sa bene cosa farà e come riuscirà a farlo visti gli interessi che accoglie al suo interno. Un governo e una maggioranza che ospita un terzo di PD già corbynizzato – e dunque del tutto a suo agio in un’alleanza con il populismo di sinistra del M5s – un terzo di PD che va dove lo porta non il cuore ma la sicurezza della rielezione, un terzo di PD – a voler essere ottimisti – che segue il gioco tattico di Renzi, in attesa – forse – un giorno di riprendere a tessere le fila di un polo liberale riformista, in asse con la maggioranza von der Leyen.

Ecco allora il secondo interrogativo. Chi cambierà chi in quest’alleanza anomala nata per fermare la deriva salviniana? La fantasia degli osservatori è già in azione. Qualcuno, ben oltre l’ottimismo della volontà, vede analogie tra Tsipras e Conte, celebrando la flessibilità ideologica del M5s ma dimenticando le sue radici e il suo zoccolo duro populista e illiberale col quale Conte ha convissuto e convive serenamente. Qualcun’altro più saggiamente immagina che dopo la legge di bilancio si faccia in fretta quello che c’è da fare e si torni al voto. Della serie, prima si ferma questo governo anomalo meglio è, anche se non lo si può dire così. Come farà l’ala liberale del PD a convivere per più di 6 mesi con Bonafede e il populismo giudiziario? Come farà l’ala liberale del PD a convivere con l’antindustrialismo di Di Maio? Come farà l’ala liberale del PD a convivere con lo statalismo del M5s? Come faranno i difensori della costituzione più bella del mondo a convivere con le ricette roussoviane e illiberali del M5s?

Meglio smontare allora i miti sulla mutazione o la flessibilità del M5s e stare con i piedi per terra. Il che non significa ovviamente non distinguere tra ideologie, interessi, gruppi dirigenti ed elettorato: per ciascuno di questi l’indagine su miti e cambiamenti ha le sue regole e le sue domande. Prendiamo atto che un pezzo di PD non vedeva l’ora di allearsi con il M5s. E confidiamo nel fatto che a staccare la spina per salvare le possibilità di un polo liberale riformista si provvederà al momento giusto. Un po’ poco, facile dirlo, ma altro al momento non c’è. Da queste parti il modello von der Layen è ancora un traguardo e non un presupposto.

 

(Pubblicato su www.landino.it)

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