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Il ricorso al Mes ci conviene. Che cosa aspettiamo?

Enrico Morando martedì 28 Aprile 2020
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di Enrico Morando

 

Gli interventi degli Stati dell’Unione Europea per aiutare il loro apparato produttivo di beni e servizi a far fronte alla crisi coronavirus assommano ormai a 1800 miliardi. Un volume di aiuti pubblici che ha già ricevuto il consenso della Commissione, in coerenza con la decisione di quest’ultima di sospendere, assieme al Patto di stabilità, anche la normativa in materia di aiuti di Stato.

Poiché si tratta di interventi realizzati da ogni Stato membro a valere sul proprio bilancio, le loro dimensioni sono direttamente proporzionali a quelle degli spazi fiscali di ciascuno: la Germania, dopo anni di rigore fiscale, ha messo in campo sussidi, prestiti e garanzie statali per 990 miliardi, il 55% del totale europeo. La Francia, che ha spazi più limitati, impiega per gli stessi scopi circa 360 miliardi, il 20 % del totale. L’Italia, con uno sforzo fiscale senza precedenti, impegna circa il 10% del totale europeo.

Di cos’altro c’è bisogno per capire che rispettare il vincolo fissato dal “nuovo“ articolo 81 della Costituzione -che obbliga ad una politica fiscale anticiclica: avanzo in periodi di vacche grasse, per poter fare disavanzo, anche grande, quando arriva la tempesta-, serve all’Italia e non è una cervellotica invenzione del neoliberismo?

Purtroppo c’è qualcuno, in Italia, che usa questi dati per tentare di dimostrare che nell’Area euro non c’è solidarietà e rilancia l’offensiva propagandistica contro l’Europa matrigna, debole coi forti (Germania) e forte coi deboli (Italia).

Poiché, grosso modo, si tratta degli stessi che… “possiamo fare da soli“, non resta che invitarli a considerare che, a dar retta a questa loro preziosa indicazione, esattamente questo l’Italia “da sola“ avrebbe potuto fare: la metà della Francia, meno di un quinto della Germania. A voler essere precisi, si tratta di un dato sovrastimato a nostro favore. La “copertura“ fornita dalla BCE -con la sua politica monetaria ultra espansiva, che ora giunge fino a prevedere l’acquisto di titoli cosiddetti “spazzatura“- protegge tutta l’Euroarea, ma noi più di altri: è dunque un’istituzione europea che ci consente di spingere l’indebitamento pubblico vicino al 10% del PIL, senza pagare un prezzo troppo pesante in termini di accesso ai mercati e di tassi di interesse sul debito.

Se avremo presto la possibilità di incrementare la potenza delle misure anti-recessione, avvicinandoci ad un volume di fuoco analogo a quello di Paesi come la Francia, dipenderà dall’efficacia e dalla rapidità con cui verranno tradotte in atto le decisioni del Consiglio europeo del 23 aprile, che ha accolto e rafforzato le proposte avanzate dalle Eurogruppo.

Tutte le decisioni, Presidente Conte, nessuna esclusa: è tempo di rimuovere-con un preciso atto di indirizzo parlamentare- le ambiguità a proposito del MES (ancora nel DEF: “la nuova linea di credito del MES, che potrà arrivare fino al 2% del PIL dei Paesi che vorranno farne richiesta“ ).

Lasciare in vita -per ragioni di cattiva tattica politica- l’ipotesi che l’Italia possa “non farne richiesta“ è sbagliato in sé (ritarda la messa a punto di un grande piano di riassetto del Servizio Sanitario Nazionale), ma è anche molto pericoloso: il ricorso al MES è una condizione necessaria per l’accesso alle OMT della BCE (il famoso scudo di Draghi).

L’argomento di chi vuole continuare a tergiversare -“prima vediamo le carte, il diavolo sta nei dettagli“- è privo di fondamento. La condizione è una e una soltanto (spendere per la sanità). La vigilanza della Commissione sulla sostenibilità del debito, oggi e domani, c’è comunque, con il MES o senza il MES. Ed è un bene che ci sia (siamo un Paese contributore netto). I soldi per rafforzare il servizio sanitario li dobbiamo comunque spendere (e ce ne vorranno tanti): ad oggi, prendendoli in prestito dal MES, potremmo risparmiare 2 miliardi e mezzo. Cosa aspettiamo?

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