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di Umberto Minopoli

 

Ascoltare Bill Gates.

Ha posto il problema vero: il vaccino non è un tema locale. Non è il simpatico game competitivo tra laboratori come si fa apparire oggi. Il problema non è arrivarci. E nemmeno i tempi. La sfida, invece, sarà gestirlo. Dalla pandemia, paradossalmente, potremmo passare, sul vaccino, al conflitto globale.

Le pagliacciate cospirazioniste di Trump fanno temere il peggio. Nessuno, tranne pare Bill Gates, ha presente il problema: sarà la prima volta che un vaccino dovrà immunizzare non popolazioni locali nel tempo, ma l’intera popolazione mondiale in tempi brevi.

Stanziare 7,4 miliardi di dollari, come chiede Gates, per lo studio del vaccino, è solo un passo. Il vero problema non sarà la scoperta del vaccino, ma la produzione in quantità sufficiente e, poi governance globale, diritti proprietari e distribuzione (licenze, autorizzazioni, commercializzazione) della più colossale campagna di vaccinazione della storia dell’umanità.

Un problema mai esistito. Che determinerà conflitti, tensioni e divisioni di imprevista portata. Senza accordi scientifici, una governance globale (c’è altro oltre l’Oms?) patti e modifiche di trattati.

Il vaccino può scatenare problemi invece che risolverli. Per questo ha ragione Gates e ha torto Trump. L’agenda del mondo deve cambiare. Se i virus sono la nuova minaccia globale, il green new deal deve diventare, anche e soprattutto un healthy new deal.

La risposta non sono soltanto ospedali e sanità territoriale. Il tema strategico si chiama biologia molecolare. Quasi 60 anni fa, Charles Crick e James Watson ottennero il Nobel per la scoperta della doppia elica del DNA: la più grande conquista dopo la teoria dell’evoluzione di Darwin. Si apriva la strada alla trascrizione del genoma umano: penetrare il segreto del funzionamento dell’organismo dei viventi, della chimica e della fisica della vita. Ma, soprattutto, usare l’ingegneria e la tecnologia genetica per un grande progetto di miglioramento dell’uomo: dalla sanità – debellare quelle che, insieme al cancro, sono l’ultima frontiera della medicina: le malattie genetiche e le infezioni – alla alimentazione, alla produttività agricola e ambientale.

Le promesse della genetica sono state, in gran parte, mantenute. Ma, forse, si poteva sperare di più. Certamente il campo enorme della virologia, della catalogazione dei patogeni, dei vaccini a largo spettro, della farmacologia contro i rischi infettivi – oggi emergenza globale – resta in gran parte inesplorato.

Per 20 anni – facciamo data dal classico della letteratura scientifica, “DNA” di James Watson – il primitivismo antiscientifico, le paure irrazionali, il pessimismo ideologico, i pregiudizi antimoderni hanno frenato e ostacolato le promesse della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica. Negli Usa, ma soprattutto in Europa. Anche qui, ormai, la Cina può avere il sopravvento.

Un vaccino è il più importante degli organismi geneticamente modificati. Eppure sugli Ogm, specie in Europa, l’oscurantismo ha azzoppato la ricerca e lo sviluppo delle tecnologie e dell’ingegneria genetica. Negli anni 70 nacquero grandi progetti sostenuti dall’Europa (taluni avveniristici) su “la chimica e la fisica della vita”. Quasi tutti arenati.

L’anatema sugli Ogm, le fobie irrazionali sull’ingegneria genetica hanno trasformato la microbiologia in Europa nell’avventura di pochi e in un campo di Marte dell’ambientalismo antiscientifico. Oggi siamo costretti dalla minaccia pandemica a tornare rapidamente su quel filone di ricerca. Anzi, a metterlo al primo posto nell’agenda sanitaria del mondo. La posta in gioco è, addirittura, la sopravvivenza futura della specie.

Non deve essere come negli anni 70. Oggi la promessa di una nuova biologia è possibile: esistono le tecnologie, le conoscenze, le risorse umane, la rete dei laboratori nel mondo. Oggi la scienza può tentare di vincere, forse per sempre, i patogeni. Ma occorre coraggio, fiducia nelle conoscenze, enormi risorse da investire e cooperazione globale. Altrimenti i virus e i batteri resteranno più numerosi e più forti di noi.

A questo allude Bill Gates.

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