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Il progetto di Putin? Cancellare l’Ucraina. Ci sta bene così?

Vittorio Ferla giovedì 7 Aprile 2022
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di Vittorio Ferla

 

Cosa dovrebbe fare l’Europa con la Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina e i massacri di civili in corso? È l’interrogativo che si pongono ogni santo giorno i capi di governo europei.

“Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina” è invece il titolo di un articolo di opinione apparso il 3 aprile scorso sul sito di Ria Novosti, una delle principali agenzie di stampa russe, controllata dallo stato, che un po’ racconta quello che la Russia sta facendo, in attesa di nuove reazioni dall’Occidente.

Il lungo e crudo editoriale, scritto da Timofei Sergeitsev, produttore cinematografico e commentatore noto per le sue posizioni estremiste, descrive il modo in cui dovrebbe avvenire il processo di “denazificazione” dell’Ucraina, già annunciato nella dichiarazione di guerra di Vladimir Putin di fine febbraio. Il testo, in apparenza delirante per la nostra sensibilità, si fonda su un’immagine falsificata dell’Ucraina, presentata come l’espressione di un regime nazista da capovolgere e distruggere. Il nazismo è probabilmente il nemico più commestibile da offrire in pasto ai media di tutto il mondo vista l’unanimità del giudizio storico acquisito dopo la seconda guerra mondiale.

Ma nel caso dell’Ucraina si tratta in tutta evidenza di un nemico immaginario, costruito ad arte solo per giustificare l’intervento militare. Il vero obiettivo è il processo di europeizzazione e di occidentalizzazione che l’Ucraina ha intrapreso ormai da tempo. Almeno a partire dal 1991, l’anno in cui il 90 per cento della popolazione ha scelto con un referendum l’autonomia e l’indipendenza dall’ex Unione sovietica.

Secondo l’articolo, il processo di ‘denazificazione’ prevede una serie di passaggi drammatici.

Primo: la ‘liquidazione’ delle élite ucraine, che non si limita soltanto al capovolgimento del governo legittimo ma contempla la ‘distruzione’ e, dunque, la soppressione fisica del ceto politico e intellettuale locale.

Secondo: la sottomissione della popolazione attraverso un processo di ‘rieducazione’ e di ‘repressione ideologica’. Per l’autore, infatti, “oltre ai vertici, è colpevole anche una parte significativa delle masse del popolo”: gli ucraini sono considerati “nazisti passivi, collaboratori del nazismo”. La “guerra giusta contro il sistema nazista” comporta dunque “una giusta punizione” per la popolazione.

Terzo: la denazificazione senza compromessi. L’articolo spiega che non è accettabile nemmeno la formula che preveda il no all’adesione alla Nato e il via libera all’adesione alla Ue. Questo perché tutto l’Occidente – sia europeo che americano – “è l’ideatore, la fonte e lo sponsor del nazismo ucraino, mentre i quadri del mondo occidentale e la loro ‘memoria storica’ sono solo uno degli strumenti della nazificazione dell’Ucraina”.

Quarto: la cancellazione dello stesso nome “Ucraina”. Ritorna qui l’eco dell’ideologia putiniana secondo cui l’Ucraina è una costruzione artificiale inaccettabile. Da qui la necessità di “russificare” quei territori, eliminando il ricordo di una autonomia culturale e linguistica, anche attraverso la soppressione della popolazione. Proprio come dimostrano i massacri e le deportazioni che lentamente vengono alla luce in questi giorni.

Almeno sulla durata e sulle proporzioni di questo processo di distruzione e cancellazione, Timofei Sergeitsev resta sul vago.

Secondo l’autore serviranno almeno 25 anni per completare questo processo.

Inoltre, non è chiaro come avverrà la spartizione del territorio di quella che oggi si chiama ancora Ucraina. Sergeitsev ammette che l’Ucraina occidentale – definita “provincia cattolica” – “è improbabile che faccia parte dei territori filorussi”. Cioè di quelle province che sarebbero “integrate nella civiltà russa” e dunque direttamente annesse da Mosca. “La linea di esclusione sarà trovata dall’esperienza”, concede il testo. Ma è certo che la parte di territorio “forzatamente neutrale e smilitarizzata”, dove pensiero e costumi occidentali saranno pertanto banditi, “richiederà una presenza militare russa permanente”.

Che cosa ci dice in sintesi questo articolo (necessariamente sfrondato delle sue parti più paranoiche e deliranti) che sembra una riformulazione russo-imperiale del Mein Kampf?

Non siamo di fronte alla descrizione dettagliata di un piano ufficiale del governo russo. Ma nemmeno di fronte alle parole al vento di un passante che blatera al bar. L’articolo è pubblicato sul sito di una delle principali agenzie di stampa statali, in un paese dove i media sono controllati rigidamente dalla censura politica. Se è stato diffuso vuol dire che le sue argomentazioni sono gradite all’establishment russo che lo ha autorizzato. In qualche modo, pertanto, svela le intenzioni del regime di Putin.

Diverse le controprove.

Prima di tutto, il saggio ideologico “Sull’unità storica di russi e ucraini” che il capo del Cremlino ha pubblicato nell’estate del 2021. Lì si afferma che russi, ucraini e bielorussi sono un solo popolo appartenente alla nazione russa. Putin vede nell’Ucraina la culla del cristianesimo russo e della fede ortodossa e una madre della civiltà russa. Ecco perché esclude l’esistenza dell’Ucraina come nazione indipendente o – peggio – come porzione integrante del mondo occidentale. Ecco perché è tornato più volte sulla necessaria ‘denazificazione’ dell’Ucraina (che nel suo linguaggio paranoico non è altro che la de-occidentalizzazione e de-europeizzazione del paese). Per esempio, in occasione del riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donbass (21 febbraio) e quando ha annunciato l’attacco all’Ucraina (24 febbraio).

Ma la prova più lampante è offerta dalle caratteristiche della guerra scatenata dall’esercito russo. Una guerra che non si limita a combattere l’esercito ucraino, ma che, fin dai primi giorni di invasione, è pensata per radere al suolo le città e per massacrare i civili. Una sorta di ‘pulizia’ terroristica volta alla completa russificazione del paese. “Andremo avanti fino al raggiungimento dei nostri obiettivi”, ha detto Putin all’adunata (questa sì, nazista) del 18 marzo scorso allo stadio Luzniki di Mosca.

Ma se questi descritti sono gli obiettivi, qual è lo spazio concreto per i negoziati? Il problema è trovare il mediatore giusto o, piuttosto, la disponibilità sincera alla pace dell’aggressore (come chiede da sempre Mario Draghi)?

E ancora: una ampia concessione territoriale alla Russia può essere davvero oggetto di scambio, vista la volontà dichiarata di cancellare l’identità di un popolo anche al prezzo del suo sterminio? Le pretese avanzate da Putin per la cessazione delle ostilità finiranno davvero con la neutralità dell’Ucraina e la sua rinuncia ad aderire alla Nato?

L’Ucraina democratica, aperta al mercato globale e orientata alla cultura occidentale è una minaccia esistenziale al retrivo dispotismo orientale della Russia, oltre che un modello inaccettabile da offrire alla vista della sua popolazione. Putin non ha bisogno di un’Ucraina “neutrale”, ma di un’Ucraina schiacciata, annichilita, russificata: altro che paese membro dell’Unione europea! Sa che l’Occidente non vuole precipitare in un conflitto e che il tempo gioca dalla sua parte: quindi continuerà la sua guerra.

Noi europei siamo pronti a sacrificare la libertà e, perfino, la sopravvivenza dell’Ucraina e del suo popolo sull’altare di una pace ingiusta?

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