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Il programma onirico di Schlein è un inno al socialpopulismo

Vittorio Ferla mercoledì 1 Marzo 2023
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di Vittorio Ferla

 

Conquistando la segreteria del Partito Democratico, Elly Schlein ha dimostrato di essere una politica molto abile. È vero, a suo vantaggio ha giocato l’appoggio dei maggiorenti del partito, primo tra tutti Dario Franceschini. Com’è noto, l’ex ministro della cultura è particolarmente risolutivo quando si tratta di gestire gli equilibri di potere e ha certamente pensato che una giovane candidata, nata alla politica al grido di “occupy Pd”, avesse tutte le carte in regole per una nuova occupazione del potere con lo stile giovanilistico di un arrembaggio corsaro. Allo stesso modo, è vero che la stagione ruggente del riformismo sembra al tramonto. Gli interpreti migliori sono stati espulsi come un corpo estraneo e purulento. Mentre non si vedono all’orizzonte personaggi – vero Bonaccini? – capaci di rianimare l’entusiasmo di chi è rimasto nella casa madre. Questi ‘aiutini’ hanno contato, ma la Schlein è stata capace di incarnare lo spirito del tempo. Che chiedeva l’eterno ritorno dell’eguale (il romanticismo neocomunista di marca berlingueriana e pasoliniana) nelle vesti della giovane promessa (la donna colta, laica e borghese, figlia del downtown metropolitano politicamente corretto).

Dopo il bagno di sogno rivoluzionario che ha fatto tornare le lacrime ai compagni di ieri, nostalgici delle assemblee scolastiche e delle barricate in piazza, e a quelli di oggi, impazienti di conquistare i cieli buoni, puliti e giusti del nuovo modello di sviluppo, resta da vedere la capacità del Pd di Schlein di fare i conti con la realtà.

Le sfide non mancano.

In primo luogo, ovviamente, c’è la questione ucraina. Sappiamo che Enrico Letta ha sbagliato praticamente tutto, ma almeno una cosa l’aveva indovinata: schierare il Pd senza se e senza ma sulla linea del sostegno (anche militare) all’Ucraina, sacrificando, sul piano ideale, l’anima pacifista e antiamericana di tanta parte della sinistra tradizionale, e, sul piano pratico, l’alleanza organica con i Cinquestelle. Che cosa farà adesso Schlein? Il mondo di riferimento della neosegretaria del Pd è quello del pacifismo. E già si sentono i primi scricchiolii del fronte democratico di fronte all’impegno dell’Italia per Kiev. Sul punto inciderà certamente la posizione netta di Giorgia Meloni pro-aiuti militari. Nella logica della progressiva domanda di radicalizzazione del conflitto destra-sinistra, è difficile che la Schlein possa accettare di stare sulla stessa lunghezza d’onda di quella che tutti ormai definiscono la sua ‘gemella diversa’, anzi opposta. Molto presto, inoltre, cominceranno a risuonare di nuovo le sirene dei Cinquestelle che, tra l’ignavia pacifista di Giuseppe Conte e l’entusiasmo filocinese di Beppe Grillo, chiederanno al Pd sempre nuove manifestazioni di oltranzismo neutralista e anti-Nato. A quel punto, la catena dell’astensionismo populista filorusso che va da destra a sinistra diventerebbe maggioranza anche in parlamento (nel paese lo è già).

L’altra sfida che viene dalla realtà è il classico tema del rapporto tra stato e mercato, tra società chiusa e società aperta. Tutta la campagna di Elly Schlein – poggiata sulla mentalità diffusa di una buona parte della sua classe dirigente – parte dal presupposto che le crisi economiche dell’Italia contemporanea siano il frutto del successo del neoliberismo e che l’unica via per tornare a essere una vera sinistra sia quella di riproporre le magnifiche sorti e progressive dello statalismo classico, nell’illusione che le istituzioni pubbliche possano davvero padroneggiare la complessità e definire i dettagli della vita di ciascuno dalla culla alla tomba. La realtà ci ha raccontato qualcosa di molto diverso. In primo luogo, che in Italia il neoliberismo non c’è mai stato. Piuttosto, il nostro paese, campione della spesa pubblica scriteriata e inefficiente, ha accumulato un debito pubblico di proporzioni devastanti. Senza contare che ben più del 50% del pil nazionale è maneggiato direttamente dallo stato. In più, il neoliberismo è andato da tempo in soffitta perfino in quei paesi che almeno in parte lo avevano praticato. A causa delle crisi economiche provocate dalla pandemia prima e della guerra dopo, ormai dal 2021 assistiamo ad un ritorno in grande stile della mano pubblica nell’economia, nel tentativo di ristorare e sostenere tutti coloro che sono stati danneggiati o travolti dalle recenti drammatiche congiunture. Si guardi alla patria del neoliberismo, l’America, dove Joe Biden ha attivato ben quattro piani poderosi di nuova spesa pubblica. Il Pd, prima con il governo Conte 2 e poi con il governo Draghi, ha partecipato attivamente a questa new wave dello stato in economia. Come definire altrimenti il Next Generation Eu e il conseguente Pnrr attivati su iniziativa di Bruxelles se non un enorme piano di spesa pubblica (addirittura) europea? L’ironia della sorte vuole che, oggi, questo grande ciclo di investimenti pubblici sia governato da un governo di destra, volente o nolente vincolato alla sua corretta realizzazione. In sostanza, Schlein paventa un incubo neoliberista che nella realtà non esiste, ma può farlo perché c’è un elettorato di sinistra a cui piace tanto farsi raccontare queste favole.

L’ultima ma non ultima sfida è quella del rapporto tra crescita e redistribuzione. La regressione identitaria della sinistra ha chiesto in questi ultimi anni l’esaltazione di una retorica basata su alcuni concetti chiave: la difesa dei poveri, la lotta al precariato e alle diseguaglianze, il salario minimo. Tutti temi fondamentali, ovvio, sui quali la sinistra deve giustamente mettersi alla prova. Troppo spesso, tuttavia, questa retorica resta puro afflato onirico, priva com’è di ricette adeguate all’evoluzione dei tempi. Basti pensare alla singolare idea secondo cui l’eliminazione del precariato passa soltanto dalla moltiplicazione dei contratti a tempo indeterminato, dimenticando che sarebbe molto più utile e funzionale prendere sul serio e tutelare meglio le partite iva. Oppure alla dissennata ossessione di trasformare in un capro espiatorio il Jobs Act, che viceversa ha aumentato i contratti a tempo indeterminato e ha moltiplicato le assunzioni. Purtroppo siamo di fronte all’ennesima narrazione falsa basta su argomenti feticcio sulla quale può fondarsi forse un programma di socialpopulismo, non certo il programma di una sinistra di governo. In ogni caso, l’accento esclusivo sul tema della redistribuzione evidenzia la totale assenza di un pensiero sulla produzione della ricchezza che dovrebbe poi essere redistribuita. Il governo Draghi era riuscito a invertire la rotta, ottenendo piccoli ma significativi tassi di crescita, anche con il sostegno del Pd, capace fino a quel momento di costruirsi un profilo di partito di governo che oggi, con la vittoria di Schlein, rischia di venire totalmente sfigurato. Con il rischio che i poveri, da problema da affrontare e risolvere, si trasformino in una categoria necessaria alla sinistra per continuare a sentirsi tale.

Tirate le somme, alla luce del programma di Elly Schlein, la nuova linea del Pd sembra viziata dall’infantile fantasticheria di un nuovo modello di sviluppo di cui non c’è traccia nella realtà ma che vive soltanto nelle astratte fumisterie della sinistra che fu e che ancora si piace così.

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1 Commenti

  1. Silvano mercoledì 1 Marzo 2023

    Condivido pienamente questa analisi e sulle conclusioni pessimiste sul futuro del PD. Stando così le cose , che ruolo possono avere in questo partito coloro che avevano sostenuto finora quelle politiche che ora la Schlein vuole smantellare. Si accontenteranno di smussare le posizioni più drastiche o si chiuderanno in convento in attesa di tempi migliori.

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